di Gerardo Russo
Illustrazione di Thomas Borrely
Vasco Brondi è stato tra i protagonisti della musica italiana degli anni 2010 con il progetto musicale Le luci della centrale elettrica. La sua poetica ha lasciato emergere il flusso di coscienza come forma di espressione musicale, influenzando la musica indipendente italiana degli anni a venire in modo originale e scomposto.
Il personaggio
Nel suo universo si mescolano immagini intime, quelle che tratteggiano sogni e pensieri improvvisi, con il mondo esterno nella sua più cruda rappresentazione. I semestri Erasmus, i cerotti usati e le autostrade che si fondono con le suggestioni evocate dallo spazio e dai corpi celesti. Non a caso la sua raccolta pubblicata nel 2018 si intitola “Dalla Via Emilia alla Via Lattea”. Intimità, attualità e fantasia sono gli elementi che tengono uniti i lunghi giri di parole contenuti nei testi dell’artista ferrarese. Una scrittura capace di inserire minacce radioattive, braccia rotte e lattine gettate in spiaggia tra gli amori estivi di una spensierata canzone di Jovanotti (con cui ha scritto il testo de L’estate addosso, singolo del 2015).
Dopo dieci anni di carriera, tra successi e importanti collaborazioni, Vasco Brondi decide di liberarsi del nome sovrastrutturale da lui stesso creato e delle scintille di speranza suggerite dalle luci di un impianto di produzione di energia elettrica. Continua la sua carriera o la ricomincia daccapo come Vasco Brondi, quasi per non perdere quel legame con la realtà che tanto aveva contraddistinto la sua produzione. Le luci della centrale elettrica rimarranno un faro nella produzione musicale italiana tra il 2008 e il 2018. Il nuovo decennio, che si è già presentato con un grandissimo shock sanitario, oltre che economico, di livello mondiale, ha portato l’artista a una nuova produzione che si libera di tutto ciò che è stato e che c’è attorno, per parlare della realtà staccandosi dalla realtà costruita con i progetti precedenti.
L’opera: Coprifuoco
Il distacco dalla realtà era in verità un tema già trattato in diversi lavori da Brondi. L’album “Terra”, pubblicato nel marzo 2017, è un grande ritratto della popolazione terrestre in movimento su se stessa. Un’unica grande etnia costantemente in affanno cercando la propria identità, che sia in “una macchina affittata su un’isola vulcanica o in coda sull’Adriatica“.
Nell’album è presente un brano quasi profetico: Coprifuoco. Il significato del testo si lega al tema delle migrazioni, dei popoli che si sono mescolati nel tempo con altri popoli, creando una grande Europa multiculturale. Nel 2017 il melting pot etnico spaventava gran parte dell’opinione pubblica, tra attentati e sbarchi di migranti, creando in certi momenti un vero e proprio clima di terrore.
Il giorno degli attentati hai scritto per tranquillizzare tutti, che come sempre eri da quelle parti ma non eri tra i feriti o tra i morti.
(Le luci della centrale elettrica – Coprifuoco, 2017)
Il contesto è un mondo estremamente globalizzato, dove molte grandi città europee sono un crocevia di etnie, tra migranti di prima o seconda generazione provenienti da altri continenti e migliaia di studenti o neolaureati che cercano opportunità di formazione o lavoro lontano da casa, mentre nel frattempo il proprio paese natale cambia faccia: “Dove c’era un minareto e un campanile c’è un albero in fiore tra le rovine.”
Tanti popoli viaggiano alla ricerca costante di un migliore stile di vita, della ricchezza, dell’Europa brillante, simboleggiata dalla Torre Eiffel. La ricchezza è però vista nel testo come vacua e artificiosa, così come le guerre di religione e gli attentati, entrambi figli di una rappresentazione fittizia della realtà. Come se ci fosse un grande equivoco di fondo. I grandi palazzi della speculazione edilizia che hanno distrutto la natura diventano facilmente simbolo di progresso e sviluppo negli occhi di chi viene da lontano in cerca di fortuna e ha lasciato casa e affetti. I viaggiatori coraggiosi, che assetati di vita passano mille peripezie per raggiungere le coste europee, diventano lo specchio di una paura infondata verso tutto ciò che è diverso. Concetti illusori che però conquistano gli animi, quanto un’inutile canzone d’amore.
Si vive così una grande psicosi che distrugge le coordinate della tranquillità. Gli attentati diventano in pochi mesi la chiave di lettura delle giornate. Una vita che non si riesce a vivere viene avvertita solo perché ritenuta in pericolo: “Assediati da quello che manca“. Riemerge spaventosamente la fierezza di appartenere a nazioni costruite prima che noi nascessimo, così come la vecchia torre Eiffel, senza considerare che l’intera Terra, così come il popolo che la abita, è quasi soltanto acqua.
Oltre
Dal coprifuoco per la paura di un attentato al coprifuoco sanitario il passo è stato temporalmente breve, ma i due contesti ci appaiono comunque epoche lontanissime. Dal continuo movimento dei popoli nel mondo alla totale immobilità, confinati in casa tra i propri ricordi. Dalle identità multiple delle tante migrazioni alla quarantena che ci sbatte in faccia quello che siamo e la vita che abbiamo costruito finora.
A circa un anno dalla scoppio della pandemia, Vasco Brondi pubblica a suo nome “Paesaggio dopo la battaglia”. Ad anticipare il disco è il singolo Chitarra nera, definito da Federico Dragogna dei Ministri, che ha collaborato al brano, la Bohemian Rhapsody dell’artista.
Nel 2017 in “Terra” il brano Nel profondo Veneto raccontava di una ragazza “sconfitta e contenta” che tornava dalla sua famiglia in provincia dopo una vita sregolata tipica da studentessa o neolaureata all’estero, rappresentante di quella generazione un po’ Erasmus un po’ precaria che ha scelto di attraversare i confini geografici in cerca di nuove opportunità e orizzonti. La ragazza del brano sceglieva di rinunciare a quel sogno, tornando a casa. Un isolamento avvenuto volontariamente, che anticipa l’isolamento forzato del 2020.
Nel 2021, Chitarra nera si apre invece con qualcuno bloccato a Barcellona, forse per via della pandemia, che non sa se tornare o meno a casa. La favola del villaggio globale si è sgretolata in un attimo, gli anni sono passati e non si è più giovanissimi. Il testo è forse un dialogo interiore, che porta a nuove scoperte. Si assapora la bellezza dell’isolarsi, rinunciando a internet e ai social, si conoscono ex-punk diventati monaci buddisti, si vendono strumenti musicali per fare spazio a nuove passioni. La ricerca della libertà della vita precedente, che avveniva disperdendosi in varie forme nel mondo, viene qui sovvertita dall’isolamento interiore, nella riscoperta delle piccole cose e nelle passeggiate tra i boschi, della bellezza di partecipare a delle attività, belle anche se organizzate in un carcere.
Facciamo un safari senza prendere più aerei.
(Vasco Brondi – Due animali in una stanza, 2021)