di Gabriele Naddeo
Illustrazione di Thomas Borrely
Josie Cipolletta lavora da sette anni all’organizzazione di Indiegeno Fest, festival dell’etichetta romana Leave Music organizzato nel golfo di Patti, nel messinese. Mentre la pandemia minaccia l’esistenza di club e festival in Italia, i lavoratori dello spettacolo non sono certo rimasti a guardare, facendo rete e mobilitandosi per comunicare, innanzitutto, che quello dell’industria dell’intrattenimento è un lavoro come gli altri e che pertanto deve essere tutelato e trattato come tale. Un modo per accrescere questa consapevolezza, come suggerisce anche Josie, è far capire che un evento come un festival o un concerto non è mai qualcosa di immediato. Partendo dall’argomento Festival, tema del momento su Talassa, con Josie abbiamo allora esplorato il dietro le quinte dell’organizzazione di un evento musicale, approfondendo i passaggi fondamentali per la buona riuscita di un festival – dalla progettazione, alla scelta della location, fino alla costruzione della line up – cercando anche di portare alla luce alcuni problemi legati a manifestazioni del genere, come la bolla dei cachet.
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Sei Event Marketing Manager per Leave Music e Event Manager per Indiegeno Fest, il festival organizzato dall’etichetta. Di cosa ti occupi e come sono distribuiti i ruoli all’interno del vostro team?
La mia giornata tipo è un po’ h24, come quella di moltз colleghз. Il titolo Event Marketing Manager è perché si deve avere un ruolo specifico, ma in realtà sono una tuttofare, come d’altronde un po’ tuttз all’interno di Indiegeno Fest. Il direttore artistico è Alberto Quartana, che è anche il direttore artistico di Leave Music, etichetta da cui è nato Indiegeno. Poi all’interno del team stabile – che magari visto da fuori può sembrare formato da tanta gente, ma che in realtà comprende poche persone, senza contare quelle che si aggiungono in corso d’opera – ci siamo: io, Mauro Ciolfi, legale rappresentante di Leave Music, Francesco Grandi, che si occupa della parte amministrativa, Chiara Donnanno, responsabile di produzione da un paio d’anni, e Stefania Domina, che si occupa principalmente della grafica. Per quanto riguarda la parte tecnica, lavoriamo con Sinergie, che è il nostro service. Altra cosa importantissima è poi il team di volontarз e associazioni locali con cui collaboriamo. Loro sono il collante con Patti, che è il luogo in cui da sette anni organizziamo Indiegeno Fest. Anche se la produzione di Indiegeno è romana, in realtà l’evento è fatto in Sicilia perché Alberto Quartana è messinese ed è sempre stato molto legato a Patti fin da piccolo.
Come si organizza un evento del genere? Quali sono le location per i concerti dell’ Indiegeno?
Nel nostro caso tutta la parte di pre-produzione viene organizzata da remoto, da Roma. Poi durante l’anno vengono fatti diversi sopralluoghi a Patti, oltre a incontri con le istituzioni, le associazioni locali e lз volontarз. Non ti nascondo che è un bello sforzo organizzare un festival del genere, non stando lì in Sicilia tutti i giorni e soprattutto considerando che non abbiamo una location deputata per fare il festival. Così ogni anno ci reinventiamo e organizziamo modi per portare alla luce diverse località del golfo di Patti, tutte molto particolari. Siamo partiti nel 2014 dal Teatro di Tindari, che nel concreto è l’unica location deputata per concerti, anzi in realtà per le tragedie greche, essendo un teatro greco-romano del IV secolo a.C. Da lì è partito tutto, poi man mano abbiamo aggiunto dei giorni all’evento e esplorato altre località del golfo. Una è Patti Marina, dove da un paio d’anni costruiamo un vero e proprio villaggio sulla spiaggia in collaborazione con il demanio, il comune e le associazioni che si occupano della tutela dell’ambiente. Perché ovviamente tutto deve essere regolamentato dal punto di vista acustico, dello smaltimento dei rifiuti, della sicurezza, eccetera. Un’altra location è poi il centro di Patti, che parte dalla piazzetta della parte alta della località e poi si dirama in tutto il centro storico. Ancora, c’è la riserva di Marinello, una riserva naturale che si trova ai piedi del promontorio di Tindari, dove lì da un po’ di anni organizziamo il secret artist. In questi caso l*artista non viene mai annunciatə e i live sono esclusivamente acustici, questo sempre per non snaturare l’area.
In Italia negli ultimi anni si è man mano creata un’offerta più ampia di festival. Spesso si annunciano molti mesi prima lз artistз e le date dell’edizione successiva. Quanto tempo prima si inizia a lavorare a un festival? Quali sono i passaggi pratici nel corso dell’anno per organizzare un evento del genere?
Pensalo in questo modo: noi organizziamo il festival durante la prima settimana di agosto. Appena finisce l’edizione si fa una valutazione generale, poi a settembre si comincia già a lavorare all’idea dell’anno successivo, Quindi il distacco è veramente brevissimo. Diciamo che nel nostro caso l’organizzazione dell’evento si è evoluta con il festival stesso. La prima edizione di Indiegeno è stata pensata a giugno per poi essere realizzata ad agosto. Poi nel corso di questi ultimi sette anni l’organizzazione si è dilatata, diventando a tutti gli effetti un lavoro di 365 giorni l’anno.
In generale, si parte sempre dall’ideazione, a cui segue la progettazione, il coinvolgimento di partner, tecnici e istituzioni, a cui si lavora già ad ottobre. Parallelamente, si comincia a pensare anche alla line up, ai primi nomi da inserire e a dare una linea artistica alla manifestazione. Da qui si capisce gradualmente il numero di artisti per giornata, le location adatte per ogni concerto e così via. Nel complesso, è fondamentale cercare di far confluire tutti gli aspetti dell’evento: logistici, artistici e di produzione. Soprattutto, oltre il lato musicale, nel nostro caso è molto importante la collaborazione con le associazioni. Perché il festival non è mai un evento musicale e basta: durante il giorno vengono organizzate, attività, come il parapendio, visite guidate alla scoperta del territorio. È di fatto scoperta del territorio attraverso la musica, e viceversa.
Al riguardo c’è uno studio molto importante pubblicato annualmente nel Regno Unito, Music by Numbers, che misura l’impatto del turismo musicale in UK. Nel 2019 il Regno Unito ha stimato circa 12.6 milioni di turistз musicalз, per una spesa (diretta e indiretta) di 4.7 miliardi di sterline. Parliamo dell’impatto di un festival sul territorio e in particolare dell’impatto di Indiegeno Fest sul territorio.
Sì, anche in Italia si è iniziato a parlare concretamente di turismo musicale già da alcuni anni. Prima questo tipo di turismo era più limitato, legato solo ad alcuni festival di nicchia. Da qualche anno però il fenomeno si è esteso e molti eventi hanno cercato di adottare questa formula, legandosi molto al concetto di territorio. Poi la pandemia ha colpito in modo pesantissimo sia il mondo della spettacolo che quello del turismo, quindi al momento stiamo un po’ tuttз cercando di reinventarci. Soprattutto, stiamo provando a comunicare sempre di più ciò che è il nostro lavoro. A fare rete e lavorare insieme all’associazione di categoria che rappresenta i live, i club e i festival, che è KeepOn Live. Una rete che dall’anno scorso si è fatta molto più stretta, perché in un momento di crisi così grande ci siamo resi conto che se non siamo uniti non si va da nessuna parte, anche per quanto riguarda il dialogo con le istituzioni.
In generale, la consapevolezza del lavoro nel mondo dello spettacolo e di tutto ciò che comporta l’organizzazione di un evento è una cosa che in realtà manca al nostro Paese, che soprattutto spesso manca ai fruitori di musica in Italia. Io dico sempre che in Italia ci sono molti fruitori di musica, ma passivi. Ho l’impressione che soprattutto tra lз ascoltatorз più giovanз ci sia una forte fruizione dello streaming e una scarsa comprensione della musica dal vivo. A volte ci sono arrivate domande e commenti riguardo il troppo tempo che passa tra un’esibizione e l’altra. Oppure sull’eventualità di pagare solo per vedere l*artista preferitə nell’arco di una giornata. Questa è una cosa che abbiamo notato soprattutto quando abbiamo fatto alcuni cambi in line up e l’età del pubblico si è abbassata. Ho come l’impressione che spesso si pensa a un concerto dal vivo come se fosse uno spettacolo visto in televisione e che in certi casi manchi la consapevolezza che un concerto non è un evento così immediato. Mi confronto anche con lз colleghз perché non funziona solo con Indiegeno Fest, e a volte capita che lз fruitorз più giovanз vanno al festival solo per vedere lə loro idolə e basta. Però il ruolo di unə direttore artistico di un festival comprende anche lo scouting: non bisogna portare solo il nome famoso, ma anche delle realtà nuove e piccole, per poi metterle in evidenza proprio durante l’evento.
Anche perché lз artistз famosз hanno cachet molto elevati, dettaglio non da poco per l’organizzazione di un evento. A questo proposito, ho sentito dire spesso che in Italia c’è un problema con una fascia di ingaggio media e che in alcuni casi si è gonfiato il cachet in modo sproporzionato rispetto all’effettivo pubblico dal vivo di un*artista. Che ne pensi al riguardo?
Parli della famosa bolla dei cachet che c’è stata negli ultimi anni. Ci siamo molto battuti al riguardo, purtroppo poi – è sempre la stessa questione – se non c’è unità non si riesce a portare avanti un risultato. Da un certo anno in poi ci sono stati dei cachet altissimi e che appunto non giustificavano il reale pubblico dell*artista. I cachet si sono alzati perché c’era hype riguardo i numeri dello streaming, ne parlavano un po’ tuttз e sono state portate avanti strategie di marketing ben studiate. Soprattutto, è successo che le grandi agenzie di booking hanno iniziato ad interessarsi a questз artistз, in grado già da solз di generare una certa attenzione, e hanno iniziato a dare grossi anticipi. Quando un’agenzia di booking dà una grossa somma di anticipo all*artista, poi richiede un prezzo elevatissimo per l’ingaggio dal vivo. Spesso si giustificano prezzi molto alti dicendo che l*artista in questione ha riempito un palazzetto a Roma o a Milano, però questo non è un metro di giudizio applicabile in tutte le situazioni. Non è che un live ad Ancona, per dirne una a caso, richiama lo stesso pubblico di Milano o Roma. Se ti chiedono 50mila, 60mila euro per un*artista poi come organizzazione ti ritrovi strozzata, anche perché tra l’altro quando si tratta di festival estivi i cachet aumentano ulteriormente.
Devo dire che comunque questa situazione non avviene con tutti. Poi soprattutto nell’ultimo anno si sta cercando veramente un forte dialogo tra booking e organizzatori, anche perché ci siamo ritrovati tutti, chi più e chi meno, in una posizione molto difficile. Ci sono ancora le agenzie di booking indipendenti che lavorano in quel modo “artigianale”, è vero, però è anche vero che poi rischiano di perdere l*artista che hanno seguito per anni se non fanno determinate politiche di mercato. Altrimenti poi arriva la grande agenzia di booking e gli assorbe lз artistз.
Parliamo di line up di un festival: oltre all’aspetto artistico, cosa si tiene in considerazione?
Come accennavo prima, l’importante è allineare l’aspetto artistico con le questioni logistiche e di costi. Se un*artista organizza un tour in tutta Italia e te lə ritrovi in una regione vicina durante una delle date in concomitanza con il festival, è normale che ti viene più facile prenderlə in considerazione. È l’abc della trattativa per un ingaggio: si parte sempre dalla data precedente o successiva.
Come ci si pone invece nel caso di artistз stranierз?
Ci sono tutte una serie di procedure e moduli appositi, considerando che per esempio un*artista che viene dall’estero non è iscritto alla SIAE. Di solito in questo caso puoi affidarti a compagnie che si occupano di sbrigare queste pratiche per te o ti rivolgi direttamente alle agenzie straniere. Sicuramente l’Ypsigrock – il fratello maggiore di tutti i festival siciliani – punta molto su questo, sul rapporto anche con i management degli artisti stranieri o con le agenzie estere direttamente. Noi in passato abbiamo inserito in line up alcune volte dei gruppi stranieri emergenti e organizzato anche trattative con grandз artistз internazionalз. Però alla fine abbiamo deciso di aggiungere un tassello alla volta e puntare per il momento su una line up più italiana.
Una domanda inevitabile: la musica dal vivo durante la pandemia. All’estero festival grandi, come Glastonbury e Coachella, sono stati annullati, anche nel 2021. Altri più ridotti, come il Reeperbahn Festival, hanno puntato sul digitale nel 2020 e per il momento confermato le date per il 2021. Come è stato il 2020 e come sarà il 2021 per Indiegeno Fest?
Per il momento stiamo mettendo insieme tante idee, per provare ad essere pronti in base a quello che verrà poi deciso a livello istituzionale. Nel 2020 Indiegeno non si è fermato: abbiamo fatto un’edizione estremamente ridotta ma non volevamo rinunciare all’evento. Per dare anche un segnale al territorio, alle persone e al settore stesso. Patti è una città di mare che ha i suoi introiti maggiormente in estate, quindi non organizzare il festival per noi sarebbe stato come abbandonare la comunità all’ultimo. Quindi abbiamo già sperimentato un’edizione con il distanziamento e tutta una serie di protocolli imposti dal periodo, ma adesso è presto per sbilanciarsi e capire cosa succederà in estate.
Pensa che a marzo 2020 avevamo pensato subito di organizzare anche noi una versione in streaming del festival. Però in quel caso subentrano tutta un’altra serie di questioni e di costi da non sottovalutare. Non è semplice organizzare un live in streaming in modo professionale e lo era ancora di più un anno fa, verso marzo e aprile, quando la situazione era ancora molto confusa. L’anno scorso quando stavamo pensando alla cosa mi ero informata con la SIAE e loro non sapevano bene come rispondere al riguardo, perché ancora non c’era una regolamentazione in tal senso. Oltre al borderò, lз artistз avrebbero dovuto firmare anche un altro modulo relativo alle pratiche televisive. Non c’era un modulo che riguardasse lo streaming, quindi la SIAE si appellava a quello, considerando l’evento come una messa in onda televisiva. I costi però in quel caso sono altissimi. Tra l’altro, devi poi considerare anche i costi per le riprese professionali. Noi comunque ci eravamo fatti fare dei preventivi e a un certo punto abbiamo considerato veramente di tutto. Pensa che ad aprile avevamo pensato di fare i concerti nelle bolle di plastica giganti, come poi hanno effettivamente fatto i Flaming Lips.
La situazione comunque è veramente difficile. L’Italia non è fatta da grandi festival, ma da tanti piccoli festival. Così come non è fatta da grandi locali, ma da tanti piccoli e medi club che sono una parte preziosa del tessuto economico e sociale del nostro Paese e che adesso rischiano di scomparire. Se in una città di provincia italiana viene a mancare un club, si crea un vuoto. Vengono proprio a mancare dei punti di riferimento e di aggregazione nel territorio.
Durante la pandemia in questo senso sono nate diverse iniziative di grande importanza per tutta l’industria dell’intrattenimento, da La Musica Che Gira a L’Ultimo Concerto. Altri progetti italiani e non, nati prima della pandemia, poi si battevano già per cause altrettanto importanti, come la lotta al gender gap e alla discriminazione. Penso a shesaid.so o a Keychange. Tu sei stata selezionata proprio come Innovator per Keychange, mi racconti di questa esperienza?
Keychange è un network che si batte contro la sottorappresentazione di genere nell’industria musicale. Ho partecipato a un loro bando a dicembre 2019 e sono stata selezionata insieme ad altre cinque persone per prendere parte al loro programma. In tutto, la rappresentanza italiana è composta da tre artiste e tre professioniste dell’industria musicale. L’avventura è partita a febbraio da Stoccolma con una serie di riunioni, eventi di formazione e incontri tutti dedicati al networking e al gender gap nell’industria musicale. Non si tratta in questo caso solo di gender gap nelle line up dei festival, ma anche di lavoratrici nel settore. Per com’era strutturato il progetto avremmo dovuto circuitare in cinque festival in giro per l’Europa, poi con la pandemia tutto si è spostato online. La parte più importante riguardava il mentoring, organizzato proprio in collaborazione con shesaid.so. Ognuna di noi poteva scegliere se avere dellз mentor o dellз mentee. Io ho scelto di avere una mentor, e sono stata assegnata a una manager canadese. È stata – ed è tutt’ora – un’esperienza veramente utilissima.