di Miriam Viscusi
«A volte per realizzare un sogno serve una vita intera, altre volte bastano due anni.»
A due anni da “Songs for Our Mothers”, la band inglese Fat White Family annuncia così “Serfs Up!”.
Provenienti dalla scena squat, laburisti, usano i simboli politici in modo ambiguo e si fanno conoscere al grande pubblico per varie performance sul palco definite, a turno, “disgustose” e “violente”.
Dopo vari problemi interni alla band – principale la dipendenza dalle droghe del chitarrista Adaczewski e il conseguente suo allontanamento – decidono di registrare il disco a Sheffield invece che nell’usuale Londra.
“Serfs Up!” (Domino Records) fa quello che tutti i terzi album dovrebbero fare: confermare senza ripetersi noiosamente, sperimentare senza perdere una certa identità.
Sembra che atmosfere elettroniche mischiate a suoni più rock, testi irriverenti insieme a violini, siano stati la giusta forma, per un disco eclettico ma riuscito.
Quel che non hanno abbandonato è la loro identità punk, se colleghiamo il termine punk ad altri quali cinismo, violenza, dissolutezza, nudità e psichedelia.