Giro di boa è la nuova rubrica di Talassa che analizza una canzone in tre momenti diversi, prendendo spunto dalla profondità del mare. Dalla riva, che racconta l’artista e il brano in generale, alla boa, segnalatrice di frasi interessanti, oscure o controverse nel testo, fino al blu, che rischiara o complica ancor di più il tutto.
di Maurizio Anelli
Riva
“Sulla bella costa della riviera francese, a mezza strada tra Marsiglia e il confine italiano, sorge un albergo rosa, grande e orgoglioso. Palme deferenti ne rinfrescano la facciata rosata, e davanti a esso si stende una breve spiaggia abbagliante”.
Inizia così il romanzo di Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, scritto ormai 85 anni fa. In poche righe lo scrittore statunitense tratteggia un paesaggio, senza che nessuna parola venga lasciata al caso o appaia di troppo. Questa descrizione si incastra perfettamente con l’ultimo album –e più in generale con l’intera poetica– di Alessio Mariani, in arte Murubutu: il titolo, infatti, varia appena di una lettera dal romanzo citato ed è l’ennesima pennellata di un rapper che si è auto-definito in varie interviste un “paesaggista”, capace di creare per ogni canzone degli autentici microcosmi auto-conclusivi, attingendo a piene mani dalla filosofia, dalla storia, dalla saggistica.
“Tenebra è la Notte (ed altri racconti di buio e crepuscoli)”, uscito per Glory Hole Records l’1 febbraio 2019, è il quinto album in studio di Murubutu ed è il terzo nella serie dei concept album dopo “Gli ammutinati del Bouncin’ “ (2014) in cui il tema principale era il mare e “L’uomo che viaggiava nel vento” (2016) la cui parola chiave è già nel titolo. La terza serie di canzoni raccontate, come facilmente prevedibile, ruota tutta attorno alla notte e da questo elemento si dipanano 15 tracce accompagnate in sottofondo da un quieto frinire di cicale. Qui l’oscurità non si limita alla sola dimensione temporale bensì si estende anche a quella spaziale. Essa è spalla fedele dei personaggi di volta in volta cantati, fonte di inquietudine ma anche di ispirazione, come vedremo tra poco.
Mariani è un professore di filosofia e storia in un liceo di Reggio Emilia e questo non può non emergere in ogni singola strofa. Il laboratorio di scrittura del rapper emiliano coincide con quello di uno studioso specializzato: il livello di dettagli e la cura delle fonti utilizzate lo rendono un unicum all’interno della scena hip-hop italiana. Le citazioni letterarie sono tante e vanno dal Rigoni Stern de Il sergente nella neve (in Buio) al Wordsworth del featuring con Caparezza sino al Dostoevskij de Le notti bianche come l’omonima traccia numero 8. C’è spazio anche per la storia, nel racconto della strage del 1572 perpetrata dai cattolici francesi ai danni degli ugonotti durante la notte di San Bartolomeo, e per il cinema: L’uomo senza sonno è una chiara citazione del film “The Machinist”, noir del 2004 con protagonista Christian Bale.
Se c’è però una canzone che riesce ad inquadrare in pieno non solo il tema portante del disco e l’estetica citazionista di Murubutu ma anche la schizofrenia dell’atto creativo nel suo esatto compiersi, quella è Franz e Milena.
Siamo pronti per scendere più giù.
Boa
I due protagonisti del brano sono lo scrittore praghese di lingua tedesca Franz Kafka e la giornalista Milena Jesenská, amanti tragici e irrisolti nell’Europa fra le due guerre mondiali. Il rapper ne segue il rapporto tormentato attraverso una Praga nebbiosa e nevosa. Le chitarre e i vocalizzi della base accompagnano la dimensione notturna, articolata su due livelli.
Il primo è quello della notte come assenza di sonno e rivela un parallelismo tra Kafka e Mariani: quest’ultimo ha letto biografia e memorie dell’autore de “La metamorfosi” ed è ben consapevole della sua grafomania notturna, dovuta ad una patologica insonnia. È la genesi dell’atto creativo, inquieto e senza freni, e porterà alla straziante raccolta epistolare delle “Lettere a Milena”, tutte datate tra il 1920 e il 1923. Murubutu ci si specchia, rivedendo sé stesso intento a scrivere “L’uomo che viaggiava nel vento”, come da lui stesso ricordato.
Il secondo –e ancora più intimo– livello prende le sembianze di una veglia infarcita di desiderio: lo scrittore ceco desidera di avere tra le sue braccia l’amata in un flusso senza fine di pensieri. E l’unico modo di farla sua è aspettare l’oscurità e scriverle: i due si sono conosciuti perché lei ha tradotto dal tedesco al ceco alcune sue opere ma Milena è già sposata. I loro incontri si contano sulle dita di una mano e fanno solo da sfondo alle missive, straordinarie rivelatrici di attese, dubbi e incomprensioni dovute a ritardi di consegna. Come molte delle storie scelte dal rapper, anche questa racchiude un finale amaro, quasi come un taglio netto.
Siamo pronti per leggerne il testo:
E verrà notte e avrà i colori degli occhi tuoi
Avrà la forza di chi è sveglio da sempre
E dentro a un flusso di coscienza come per Freud
Come per Joyce, con me tu puoi
Fuggita a Vienna per la guerra la sua bella lo pensava
E gli spediva le parole stupende
“Cara Milena” lui scriveva fino all’alba
“Mi terrai sveglio per sempre”
Col cuore fuso sul tavolo e il vuoto scuro nell’animo
Si seppe 10 anni dopo dal termine del conflitto
Internata con tanti altri nel campo di Ravensbrück
Anima affranta, però non seppe, si spense prima di quell’epoca
Restò un’ultima lettera ad attenderla intatta
“Io ancora ti aspetto” firmato: Franz Kafka
Blu
Nel primo passaggio è rimarcata la forza dell’insonnia, qui intesa come punto di forza poiché permette allo scrittore di dedicarsi totalmente a Milena senza che il sonno arrivi a distoglierlo da questi pensieri. Segue poi una vera e propria dichiarazione di poetica da parte di Murubutu, i risvolti psicoanalitici di Sigmund Freud e i flussi di coscienza di James Joyce fanno da modelli e costituiscono una cifra importante del suo stile di scrittura.
Sebbene la vicenda amorosa raccontata sia quasi tutta nella testa di Kafka, bastano poche frasi a Mariani per raccontarne gli sviluppi storici: la donna si trasferisce a Vienna col suo primo marito e la capitale austriaca diventerà allo stesso tempo terreno di incontri fugaci e distanza incolmabile tra i due. Come nella traduzione –dal ceco al tedesco o di qualsiasi altra fattura– rimane sempre fuori qualcosa di intrasportabile, anche tra Franz e Milena non scattò mai quella scintilla che sarebbe servita a unirli per sempre.
Il finale è un pugno allo stomaco. Murubutu, lasciate cadere infine le vesti del bardo, rammenta all’ascoltatore le sue doti da rapper e le potenzialità della poesia cruda: Kafka muore di tubercolosi appena quarantenne nel 1924, lasciando il suo desiderio d’amore perennemente insoddisfatto e senza riposta. Milena, dopo essersi contrapposta come esempio di umanità e solidarietà all’insensatezza dell’Olocausto, aiutando all’espatrio ebrei e rifugiati politici, viene arrestata dalla Gestapo e confinata nel campo di concentramento di Ravensbrück in Germania. Non uscirà mai più di lì. L’asimmetria del rapporto tra i due si fa assoluta nel tempo: l’uomo non potrà mai conoscere la triste sorte della donna.
La chiosa simboleggia un’attesa vertiginosa e senza fine ma anche l’autonomia e l’immortalità della parola ricordata. Dove l’uomo non è riuscito in vita, la speranza risiede nell’opera che lo scavalca. E questo è ciò che si augura Murubutu, una storia dopo l’altra.