di Claudia Casali
Conosco bene quella sensazione: ritrovarsi improvvisamente senza nessuna certezza. Tutto sembra perdere stabilità, le gambe sembrano non riuscire più a reggere il peso della testa che è diventata troppo pesante. Troppo piena di pensieri, ansie, paure che fino ad ora sembravano non appartenerti.
Ti ritrovi improvvisamente ad aver perso una battaglia che, fosse stato per te, non avresti mai intrapreso. Eppure il coraggio non ti manca. Ammetti con molta onestà che l’avversario ti ha colpito, ti ha colto impreparato ma non ti ha sconfitto.
È solo l’inizio e non hai avuto paura di gridare “Touchè”. Non hai avuto paura di ammettere di essere stato colpito duramente, di aver incontrato un grande ostacolo che ha messo a dura prova le tue relazioni, le tue emozioni, la tua vita.
Non me lo ricordavo che vivere fosse così complicato. Gli sbagli che facciamo sono tanti, ma c’è sempre l’opportunità per migliorarsi, basta rimanere in ascolto ed aspettare la notizia giusta.
Undici tracce, undici battaglie personali che porteranno alla vittoria della tua guerra. Gli attacchi subiti sono tanti, ci ritroveremo pieni di Lividi a pois a causa delle nostre storie così semplicemente complicate. Una storia raccontata con suoni decisi e immagini poetiche dedicata A chi non si ferma e non si accontenta mai. A chi non smette mai di desiderare, di dimenticare e di rincominciare.
Ricominciare dalle certezze, l’unica ancora di salvezza anche quando tutto quello che riusciamo a vedere sono le cose che ci mancano, che non abbiamo mai avuto o che abbiamo perso. Le metamorfosi dell’aria e la sua delicatezza riscaldano anche i cuori più freddi. Anche chi è sempre pronto a prendersi La colpa, la responsabilità delle cose, anche chi ha sempre la forza di usare la ragione anche quando i sentimenti prenderebbero il sopravvento.
Una generazione, quella degli anni ’90, che sa quali sono le problematiche di Mèsa. La difficoltà di realizzare le proprie ambizioni, di portare avanti quell’idea che abbiamo sposato. Un esercito orizzontale che deve fare i conti con le generazioni passate, che ci hanno rubato tutto. Una traccia politica e intimista che rivolge lo sguardo ad un passato ormai impossibile da cambiare. Il presente e il futuro, i suoni tra l’indie folk e l’alternative rock e Il mare tra il dire e il fare si fondono perfettamente con le immagine oniriche e la delicata voce di Mèsa.
Frammenti che si susseguono e che di volta in volta aggiungono tasselli fondamentali per raccontare al meglio una storia. Con la malinconia, con tutte quelle domande che a volte sembrano pura retorica ma che devono essere fatte. Una Canzone retorica, che ti lascia con qualche domanda in più e con un pizzico di nostalgia. Con quell’illusoria spensieratezza che si ha quando si fa il Morto a galla. I pensieri sono sempre lì, non ci abbandonano mai, hanno una propria vita, un proprio odore che possiamo sentire solo noi che ne siamo i padroni.
L’influenza degli anni ’90 e la vena cantautoriale, che richiama le voci più importanti dell’indie italiano, fanno di Mèsa uno dei nomi femminili più interessanti del panorama musicale nostrano. Tutto è un’indagine retrospettiva, piena di energia, a metà strada tra la rabbia e la rassegnazione di quello che è stato.
Nuotare e tuffarsi in un Oceanoletto di ricordi e silenzi, in un crescendo di emozioni che portano ufficialmente alla fine del disco, che si conclude così nel migliore dei modi.
Ed è la mancanza a fare la differenza. In Oceanoletto è proprio l’assenza di una struttura classica a renderlo uno dei pezzi più interessanti dell’album. E puoi o amarlo o odiarlo, proprio perché totalmente diverso.
Così come quando ti ritrovi davanti a un’architettura priva dei suoi elementi principali: puoi denigrarla oppure prendere i suoi elementi caratteristici e rimetterla in vita. Come è successo a Ricardo Bofill che ha ristrutturato e restaurato un vecchio cementificio ormai in disuso.
La Fábrica originariamente conteneva immense sale-macchine ed era composta da più di 30 silos e gallerie sotterranee. Il tutto è stato riconvertito in una splendida casa-ufficio di oltre tremila metri quadrati che ha comunque mantenuto l’assetto originale tipico degli edifici industriali. Materiali e stili architettonici differenti sono la cornice perfetta per la spettacolare oasi verde che è stata creata per contrastare il grigiore del cemento.
Creare vita dove prima l’uomo ha distrutto la natura attraverso processi di cementificazione superflui. Avere così l’opportunità di godere completamente di un’ottima vista naturale. Affacciarsi dalla finestra e ammirare tutto quello che una volta lì poteva essere solo immaginato. Del verde e una natura rigogliosa a incorniciare uno degli studi di architettura più affascinanti della Spagna.
Aprire dunque le finestre e ritrovarsi immerso nella natura. Tutto questo poteva essere solo immaginato e sognato da chi prima frequentava il cementificio.
E chissà se era proprio questo quello che si riusciva a vedere fuori dalle vecchie finestre della fabbrica. Chissà invece cosa si riesce a vedere oggi da quelle stesse finestre che per anni sono state abbandonate.
“Mettiamo il caso che un giorno ti svegli
e quando alzi la serranda
tutto quello che riesci a vedere fuori dalla finestra
sono le cose che non hai”
Mèsa – Le metamorfosi dell’aria