di Gerardo Russo
Mèsa, al secolo Federica Messa, è una cantautrice romana, classe 1991. Ha pubblicato quest’anno il suo EP d’esordio omonimo, una raccolta di canzoni che sanno essere poesie. L’abbiamo intervistata, cercando di approfondire i tanti significati che i suoi brani possono suggerire. La scrittura, come ci dice Mèsa, non serve per definire le cose in modo oggettivo. Può aiutare però a viverle meglio.
T: Ciao Federica, grazie mille per questa intervista. Dato che il nome della tua pagina Facebook è “Mèsa-cantautrice”, immagino che ti faccia piacere parlare delle parole nelle canzoni del tuo EP.
M: Le parole per me sono molto importanti, ad ogni modo la scelta del nome “Mèsa-cantautrice” è stata fatta soprattutto per disambiguare poiché ci sono molte pagine con quel nome.
Partiamo da La colpa. Molto significativa è la frase in cui dici “non mi ricordo se sono io a fumare o è la sigaretta a fumare me”. Ho notato una similitudine con un dialogo tra i protagonisti del film This must be the place di Paolo Sorrentino in cui i protagonisti parlano del bisogno di fumare. Per te cosa significa invece questo fumare, magari senza neanche accorgersene?
In un certo senso questo collegamento potrebbe esserci. La frase si riferisce all’automatismo del fumare. La sigaretta è per me molto legata ai momenti di nervosismo o ai pensieri che faccio magari in balcone quando sono sola a casa. Posso essere assorta in quel momento e il gesto può divenire così automatico che la sigaretta fuma me o addirittura si fuma da sola. La frase possiamo collegarla anche al numero di sigarette che una persona può fumare nella vita, in quanto possono diventare talmente tante che sono loro a fumare te.
Qual è il tuo rapporto con le dipendenze in generale? Credi sia necessario avere delle dipendenze per vivere meglio?
In realtà, nonostante parli di sigarette in due canzoni (una delle quali non è presente nell’EP), non sono una persona incline alle dipendenze. Non bevo né fumo molto, non ho mai fatto uso di droghe, al massimo mi piace il caffè (ne prendo in media tre al giorno). Mi ritengo una persona morigerata. Penso che più che di dipendenze, si può aver bisogno di abitudini per vivere meglio. Personalmente so che potrei smettere di fumare quando voglio, mi ritengo una persona che fa qualcosa perché le va in quel momento.
Sempre nello stesso brano ti dai la colpa per qualcosa. Una colpa che però potrebbe essere intesa anche positivamente. Il tuo intento è dire che è grazie a te stessa se sei quello che sei e hai ottenuto determinati risultati, sia nel bene che nel male?
Sì, la canzone è un fare pace con i miei errori. Appartengo a me stessa nonostante gli errori commessi. Dico infatti “sono solo mia”. È mia la colpa se ho perso qualcuno, ma non ho perso me stessa. Il messaggio è quindi positivo, cerca di spronare ad andare avanti, risollevarsi, prendendo dai momenti negativi la forza per fare qualcosa di bello, in grado di riavvicinarci a noi stessi, come per me può essere lo scrivere canzoni.
La canzone, anche se apparentemente può sembrare triste, riesce invece a dare molta positività.
Sì, infatti anche il video rispecchia questo messaggio. Ho scelto per questo come soggetto l’amore tra due persone anziane e ci sono molti sorrisi e risate.
Hai pensato tu al tema del video?
Sì, si tratta di una mia idea sviluppata insieme al regista Adriano Natale e al mio chitarrista Enrico Bertocci, una settimana prima di girarlo.
In Un nome alle cose canti “vite attaccate a pezzi di carta” e “resta a matita il sogno sbiadito di dare un nome alle cose”. La canzone sembra raccontare l’utilità di riuscire a definire le cose, magari anche delle paure, in modo da vederle in modo chiaro e affrontarle meglio. Ti è mai capitato di sentirti lontana da una canzone che hai scritto da un po’ di tempo? La tua vita è ancora simile a quella attaccata ai pezzi di carta?
Con quei versi intendo dire che la mia vita, così come la vita di chi scrive canzoni o altro, è legata alle parole e ai pezzi di carta. Dare un nome alle cose o scriverle non è che abbia un’utilità scientifica. Una cosa che viene scritta non esiste necessariamente nella realtà, è semplicemente la proiezione di un sentimento, un qualcosa d’immateriale. Le canzoni di questo EP, a parte l’ultima, le ho scritte da circa due anni. Non le sento distanti, può capitare di essere andata avanti alle sensazioni descritte, ma comunque continuano a rispecchiarmi. Penso invece che può risultare noioso cantare le stesse cose per molto tempo.
In alcune interviste hai detto che i momenti difficili sono quelli che più ti aiutano a scrivere canzoni. Poi penso ai Baustelle che invece ne La vita suggeriscono che “pensare che la vita è una sciocchezza aiuta a vivere”. Tu preferiresti una vita dove riesci a portare con te tutta la tua complessità, una senza preoccupazioni, fatta solo di musica e spensieratezza?
Se arrivassi a questo stato, una sorta di nirvana, poi non avrei di che parlare, scrivere o cantare. Cercare di capire se stessi, gestendosi in determinati momenti o pensieri, è invece sicuramente un obiettivo. È comunque una frase molto bella questa dei Baustelle. Io penso che il senso possa essere quello di capire che non si può capire tutto, un po’ come dicevo per la canzone Un nome alle cose. Accettare questo e vivere con leggerezza il fatto che non ci può essere una leggerezza totale.
A proposito di ‘nirvana’ ho letto che a te i Nirvana piacciono molto. Sarebbe interessante scoprire come la tua voce possa misurarsi con un pezzo rock.
Sai che molte persone, dopo avermi ascoltato dal vivo, mi dicono che ho una voce di quel tipo. Nel disco ho cercato di fare qualcosa che fosse più fruibile per ‘tutte le orecchie’. Dal vivo però la dimensione è quella di cui mi stai parlando. Avrai notato questo negli arrangiamenti e nelle intenzioni dell’ultimo brano dell’EP, Tutto, che vanno più sul rock anni ’90 che a me piace molto.
Ultima: come vivi l’essere un’artista nel 2017? Usi Facebook per promuovere la tua musica? Hai difficoltà a pubblicare i tuoi sentimenti su un social network, dove chiunque può giudicarti?
Per quanto internet o Facebook possano essere nocivi per degli aspetti, non penso che lo siano riguardo alla pubblicazione dei miei sentimenti. Nel momento in cui si decide di passare dal cantare in cameretta a fare un concerto c’è già questo passaggio. Per me non c’è differenza se suono in un locale o metto le canzoni su internet. Le persone che vogliono sentirmi possono farlo tranquillamente, altrimenti sono comunque libere di non farlo.