Alessandro Amato: Il mestiere del produttore cinematografico


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di Gabriele Naddeo
Illustrazione di Thomas Borrely

Nel 2015, Alessandro Amato ha fondato a Roma insieme a Luigi Chimienti – socio conosciuto alla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté – una società di produzione cinematografica indipendente: dispàrte. Oltre ad approfondire il suo ruolo da produttore, esplorando passo passo tutte le fasi che dividono una sceneggiatura dalla sua effettiva realizzazione su pellicola, abbiamo cercato di capire in che modo si sta evolvendo il settore, anche in funzione delle piattaforme di streaming e della chiusura forzata delle sale durante il lockdown. La pandemia ha senza dubbio segnato profondamente l’industria cinematografica, ma – dice bene il produttore romano – non sarà il Covid a fermare il rito del cinema.

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Partiamo con Festival, il tema del mese su Talassa: è appena finito l’evento della Berlinale dedicato agli addetti ai lavori. Qual è il tuo rapporto con i festival cinematografici?

Io posso risponderti dal punto di vista del produttore, più che dello spettatore, perché – Covid a parte – ogni volta che vado a un festival ci vado prevalentemente per lavoro. Fare produzione riguarda poco i film finiti e molto i film ancora da farsi. Quando sono a un festival, purtroppo, mi capita poco di vedere i film. Prima del 2015 – anno in cui dispàrte è diventata una società – ho avuto però modo di vivere i festival anche da appassionato. Ricordo un anno a Venezia in cui ho visto 49 film nell’arco di 12 giorni. Però da quando sono attivo sul fronte della produzione sono impegnato ai festival più dal punto di vista del networking e degli incontri. Principalmente si guardano e si ascoltano i pitch dei progetti che cercano partner, co-produttori o collaborazioni internazionali.

C’è una sezione specifica dei festival dedicata agli incontri e alle nuove proposte di collaborazione?

Sì, la maggior parte dei festival hanno il cosiddetto mercato, che si svolge in maniera parallela alla manifestazione. Ogni mercato si compone poi di vari segmenti, io per esempio ho partecipato da poco al co-production market dell’ EFM (European Film Market) di Berlino, che nello specifico è una sezione dedicata a progetti di co-produzione e da qualche anno anche alle serie e ai lavori della Berlinale Talents. Poi per esempio Cannes ha il Marché du Film e così via…Quasi tutti i festival più importanti hanno il proprio mercato, più che altro dedicato allз addettз ai lavori. Quindi, ecco, diciamo che quello è lo spazio in cui gravita unə produttorə, a meno che non abbia un film selezionato al festival. Però ogni tanto si riescono anche a vedere i film degli altri ai festival, dai. Poi, personalmente, recupero più che posso tramite altri canali, a cominciare dalla sala, oppure attraverso piattaforma privata degli EFA (European Film Academy), di cui sono membro votante.

Come funziona quest’anno con i vari mercati? Sono tutti digitali immagino…

Esatto, quasi tutti i festival hanno previsto il mercato digitale e devo dire che ce ne sono veramente tantissimi. Al momento ne sto facendo più di uno al mese, a volte arrivo anche a tre al mese. Già solo da inizio 2021 con dispàrte abbiamo partecipato al When East Meets West – il mercato del Festival di Trieste – con un progetto selezionato, al Cinemart – il mercato del Festival di Rotterdam – e all’EFM della Berlinale. Poi a breve ci sarà il Sofia Meetings ed è arrivato da poco l’invito per un mercato che si sarebbe tenuto ad Istanbul. L’importanza di questi eventi sta nella possibilità di stringere nuove connessioni e nel poter incontrare un gran numero di persone. La maggior parte degli incontri sono riunioni formali, in cui ti viene presentata l’idea di un nuovo progetto, ma spesso molte occasioni arrivano anche da incontri informali, da persone che conosci per caso, magari presentate da unə amicə in comune.

A proposito di incontri e connessioni: tu hai partecipato alla Berlinale Talents, cosa ti è rimasto di quell’esperienza? In che modo è stata utile per il tuo lavoro?

La Berlinale Talents è un’esperienza stupenda: ho fatto domanda per tre volte e finalmente nel 2020 mi hanno accettato. Il valore di questo progetto sta da un lato nella possibilità di incontrare addettз ai lavori da tutto il mondo e da vari reparti dell’industria – dallə criticə cinematograficə allə produttorə, dallə costumistə allə attorə – dall’altro nel tipo di formazione che ti viene offerta: non solo passiva – come panel o discussioni – ma anche attiva, tra eventi laboratoriali e confronti comunitari. Anche qui, fondamentalmente, è una questione di networking, non solo perché è utile conoscere altre persone del settore, ma anche per trarre ispirazione da realtà ed esperienze diverse. Perché conosci veramente persone da tutto il mondo che magari fanno anche il tuo stesso lavoro, ma in una maniera completamente diversa. Esistono esperienze incredibili che magari uno nel proprio piccolo orticello non immagina neanche. Pensa che l’anno scorso c’era un ragazzo che aveva creato un cinema itinerante a energia solare, giusto per dirne una.

Oltre a Berlinale Talents poi nel tempo ho fatto anche altre esperienze di formazione internazionale, come l’EAVE (European Audiovisual Entrepreneurs) che gestisce diversi workshops internazionali. Io ho partecipato al Puentes Workshop, dedicato allз professionistз del settore che sono interessatз a lavorare tra Europa e America Latina, con l’ultimo film che abbiamo prodotto con dispàrte, Maternal.


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Oltre alla formazione in sé, mi sembra di capire che un valore aggiunto di questi corsi sia quello di sentirsi parte di una specie di comunità…

Sì, ma comunità non intesa come cerchia ristretta o lobby e non è certo una questione di status. Ti faccio un esempio. Di recente con la società abbiamo vinto un fondo di produzione minoritaria per un progetto bulgaro. Quindi noi siamo la società di produzione minoritaria, mentre la società bulgara quella maggioritaria, così come il film si gira in Bulgaria e il regista è bulgaro. Ho incontrato la produttrice del film nel 2019 durante uno dei mercati a cui accennavo prima, il Sofia Meetings. Quando abbiamo iniziato a parlare del suo progetto e delle nostre esperienze è venuto fuori che entrambi avevamo fatto un workshop EAVE. Ora non è che questi corsi appiattiscono tutti in una certa maniera, però aver fatto uno stesso tipo di formazione ti fa parlare una lingua simile. Perché, come dicevo prima, questo lavoro si può fare sicuramente in mille modi, ma si può fare anche bene o male. Diciamo che workshops come quelli organizzati dall’EAVE ti insegnano a fare bene questo lavoro, ad approcciarsi alla professione in una maniera molto professionale. Cosa che poi aiuta ad interfacciarsi con persone che hanno avuto lo stesso tuo percorso.

E come si fa il lavoro del produttore? Com’è la tua giornata tipo?

La mia giornata tipo è Mac e telefono, sostanzialmente. Uscendo fuori dalla dinamica Covid, diciamo che il mestiere del produttore si divide tra l’ufficio, il set e i festival o i mercati, in base al fatto se il tuo film è già finito o lo devi ancora produrre. Quindi c’è senz’altro una grande varietà di luoghi e dinamiche. La giornata tipo di una società di produzione deve comunque avere una sua regolarità, anche perché più cresci e più devi strutturarti, dato che il lavoro è tantissimo. Con il mio socio, Luigi Chimienti, siamo partiti in una stanzetta e adesso abbiamo tre stanze, siamo partiti in due e adesso siamo fissi in sei, senza contare che quando ci sono le produzioni il team si allarga. In questo senso, mi verrebbe da dirti che è quasi un lavoro d’orchestra. Ti rapporti con realtà molto diverse tra loro: dalle banche, allз agentз dellз attorз e allз attorз stessз, allз registeз, lз sceneggiatorз o lз stagistз. Avere a che fare con le persone è una parte fondamentale del nostro lavoro e del nostro modo di lavorare. Io dico sempre che noi come società di produzione cinematografica prima di valutare un progetto valutiamo le persone, l’aspetto umano e di relazione. Anche perché fare un film è quasi come un matrimonio, possono passare anni tra l’idea e la realizzazione.

Parliamo della produzione: quanto costa in media produrre un film indipendente?

Se limitiamo la domanda ai lungometraggi, in Italia un’opera prima fatta come si deve – quindi pagando tuttз e rispettando i minimi sindacali – può costare dai 600/700mila euro ai due, tre milioni. Di media, costa circa 1.2/1.3 milioni. Poi ovviamente dipende se è una produzione o una co-produzione e anche dai tempi per le riprese che di solito per un’opera prima variano dalle quattro alle sette settimane. In ogni caso, il mestiere del produttore si può fare in tanti modi: c’è chi investe di suo, noi invece lavoriamo soprattutto cercando finanziamenti, quindi partecipando a bandi pubblici, ma cercando di convogliare anche investimenti privati.

Quanto tempo nel complesso dura la produzione e quali sono le fasi?

Di base, ogni progetto ha delle fasi distinte e si lavora per gradi. C’è una prima fase di approccio all’idea, in cui si legge il soggetto, la sceneggiatura o un libro da cui trarre il film, e si dialoga con l’autorə per capire quali sono le ambizioni, le tempistiche che ha in mente e qual è il piano generale del progetto. Poi, in funzione anche della capacità limitata di accogliere i nuovi progetti si fa un’ulteriore selezione – considerando, a esempio, che le sessioni ministeriali per richiedere finanziamenti sono tre all’anno. Quindi dopo una prima valutazione, si comincia a fare un piano di sviluppo, capendo innanzitutto come finanziare la stessa fase di sviluppo che riguarda la scrittura, le ricerche, eventuali sopralluoghi e studi di reparto come quelli per le scenografia e i costumi. L’elemento principale è comunque la scrittura, dato che ovviamente parte un po’ tutto da lì. I progetti possono essere sia author driven che producer driven, a seconda se partono da unə regista che è anche sceneggiatorə, se regista e sceneggiatorə si presentano allə produttorə o d’altra parte se unə produttorə compra i diritti di un libro, ad esempio, e da lì imposta un progetto.

Noi poi lavoriamo tanto a livello editoriale: facciamo molte riunioni nelle varie fasi di scrittura, dal soggetto, al trattamento e, infine, alla sceneggiatura e lavoriamo tantissimo con lə autorə. Se fai cinema d’autore ovviamente l’idea è dell’autorə, però è anche vero che l’autorə deve avere un confronto, soprattutto per un’opera prima, e in questo il ruolo dellə produttorə è importante. Sono convinto che una stessa sceneggiatura fatta con lə stessə regista e le stesse persone coinvolte ma un altro produttore viene comunque in modo diverso.

Dopo aver cercato i finanziamenti per lo sviluppo, partecipiamo a bandi e fondi di vario tipo, e quando il progetto ha preso forma – sia dal punto di vista di scrittura che di packaging – si passa alla fase di produzione e anche in questo caso si cercano finanziamenti. Infine, dopo tanta fatica e tanto tempo, quando il mosaico del piano finanziario pian piano si compone, si comincia la preparazione per le riprese. Dopo le riprese c’è la post-produzione e idealmente sarebbe ottimo lavorare già con la distribuzione sin dalla fase della sceneggiatura per avere già un piano ben definito. Purtroppo in Italia al riguardo si fa ben poco, soprattutto per film non commerciali, quindi spesse le opere prime d’autore. Per quanto riguarda il piano distributivo, noi produttorз siamo chiamatз ad immaginarlo quando facciamo le domande di finanziamento, anche da soli. Infine, se si fa un film che ambisce al circuito festivaliero, si sottopone a uno o più festival e si cerca di lavorare con un distributore per l’uscita e con i venditori esteri per le vendite internazionali e la prima festivaliera.

Avendo chiarito i vari aspetti della produzione, mi incuriosiva capire come è nato l’ultimo lungometraggio che avete prodotto con dispàrte, Maternal.

La regista di Maternal, Maura Delpero, è italiana ma al tempo viveva prevalentemente a Buenos Aires. Lì teneva dei workshop di cinema in case famiglia che ospitavano ragazze madri. Aveva girato alcuni documentari in passato, ma quando ha scoperto le storie di queste donne ha deciso di scrivere la sua opera prima di finzione. Così ha prima approcciato una società di produzione argentina, la quale poi a sua volta ha cercato una società di produzione italiana. Nel frattempo che si cercava la casa di produzione, ha fatto domanda alla Script Station della Berlinale Talents, corso a cui è possibile partecipare anche con una propria sceneggiatura, e ha anche vinto un fondo di co-sviluppo tra Italia a Argentina. Alla fine la casa di produzione argentina ha trovato noi tramite la Vivo Film, società italiana che ha prodotto insieme a noi il lungometraggio e presso cui avevo fatto non troppo tempo prima uno stage formativo.

Da lì è iniziato tutto. Abbiamo partecipato a due mercati, il When East Meets West a cui accennavo prima e il San Sebastián, in cui abbiamo vinto anche l’Arte International Prize, riconoscimento della televisione franco-tedesca. È stata una lunga avventura: abbiamo fatto tutto il percorso di domande ai fondi, siamo passati attraverso il cambio della Legge Cinema, il cambio di Tax Credit con il passaggio aliquote dal 15 percento al 25 e poi al 30. Poi l’Argentina ha passato una delle purtroppo frequenti crisi economiche. Diciamo che co-produrre non è facile, soprattutto co-produrre con Paesi diversi dal proprio. Se per esempio co-produci con alcuni Paesi europei, più o meno si parla su alcune cose con un linguaggio simile. Sull’Argentina è stato diverso, anche se c’erano similitudini di altro tipo, più di relazioni umane diciamo.

Tornando alla genesi di Maternal, nel corso dello sviluppo siamo riusciti ad attrarre partner strategici per la realizzazione del progetto, in tandem con i coproduttori Vivo film e Campo Cine. Il film, infatti, è prodotto con Rai Cinema e grazie anche ad Etrusca S.r.l. di Francesco Cerza, un investitore privato, oltre ad aver ottenuto il supporto alla produzione e il Tax Credit da parte del Mibact (ora Mic), di due fondi regionali, IDM Film Fund e Lazio Cinema International, e dall’INCAA, il fondo nazionale argentino. Le vendite internazionali del film le cura la società francese Charades, conosciuta e approcciata proprio durante un’edizione del When East Meet West di Trieste.

Parlando di festival, il film ha avuto la sua anteprima a Locarno in Concorso Internazionale, dove ha vinto quattro premi, per poi avere un lungo percorso nei festival internazionali e italiani, vincendo numerosi ulteriori premi, tra cui il FIPRESCI a Mar Del Plata e il prestigiosissimo Kering Women in Motion Young Talent Award assegnato durante il Festival di Cannes da una giuria di sole donne alla miglior regista esordiente dell’anno.

Il film è riuscito ad uscire in sala in Argentina prima della pandemia e doveva uscire in Italia e in Francia in primavera 2020, mentre in Germania, Austria, USA e Canada doveva uscire in autunno 2020. La pandemia ha inevitabilmente cambiato i piani. In Francia il film è uscito poi a ottobre con Memento, tra le più prestigiose società francesi, e nonostante la pandemia in corso e il coprifuoco ha ottenuto ottimi risultati. In Italia avevamo riprogrammato l’uscita a novembre con Lucky Red, a mio parere il partner distributivo migliore che potessimo avere in Italia, ma con la chiusura delle sale a fine ottobre abbiamo dovuto sospendere il lancio. Nonostante la pandemia e la possibilità di uscire in piattaforma, noi continuiamo comunque a puntare sulla sala, aspettando una vera riapertura, perché Maternal, come altri film, è uno di quelli che in sala da il meglio di sé.

Domanda obbligatoria: com’è cambiato – o sta cambiando – il settore durante la pandemia?

Il Covid ha sicuramente velocizzato tantissimo alcuni processi che si erano già messi un po’ in moto. Diciamo che le OTT – le Over The Top: Netflix, Amazon, Disney+ e le altre piattaforme di streaming – stavano già ottenendo una buona fetta di mercato, ma con la pandemia la fetta di mercato che hanno preso è diventata enorme. D’altra parte, i cinema e le distribuzioni, che erano in sofferenza, ma in Italia tutto sommato erano da un paio d’anni in buona ripresa, ovviamente hanno subito i danni più grossi. Però io penso che questa situazione sia un po’ un elastico che si sta tendendo e a un certo punto tornerà indietro. Perché siamo un po’ tuttз stanchз di stare con il sedere sul divano per guardare un film tra le proprie mura e perché andare al cinema è comunque un’esperienza sociale e per me anche rituale. Ecco, questo è il punto, il cinema è un rito: spegni il telefono, si spengono le luci, non parli più di tanto con i tuoi vicini, non interrompi il film quando vuoi. E quel rito, senza sembrare troppo nostalgico, penso che sia imprescindibile per un certo tipo di prodotto audiovisivo. Ti dirò, secondo me il cinema ha acquisito ancora più valore dopo questa pandemia: le cose ti mancano di più quando le perdi.

Un ruolo importante nell’industria cinematografica lo giocano i distributori: come si stanno muovendo in tempo di pandemia?

Come si stanno comportando i distributori lo vorrei sapere anche io, ma da fuori – non essendo questo il mio campo – quello che secondo me traspare è che ognuno sta cercando di trovare delle fette di mercato nuove. È un mondo che secondo me in questo momento si sta un po’ frammentando e sta prendendo strade diverse. Alcuni non ce l’hanno fatta e hanno chiuso, altri hanno aperto piattaforme, vedi MioCinema, altri credono che si ritornerà al cinema, magari non nell’immediato con numeri soddisfacenti, ma si ritornerà. In più, le OTT stanno un po’ accorciando la catena alimentare nel settore, nel senso che spesso dialogano direttamente con i produttori, quindi i distributori a volte sono tagliati un po’ fuori, mentre in altri casi sono i distributori che vendono alle OTT.

A proposito di OTT e piattaforme di streaming: voi avete prodotto o pensate di produrre anche serie?

Sì, abbiamo lavorato a una serie breve che si chiama Prime Donne e che doveva avere la sua vita già scritta, nel senso che era finanziata anche da una piattaforma di streaming italiana. Poi però l’uscita è stata bloccata e per il momento ancora non è mai stata pubblicata veramente. Nel frattempo è stata selezionata in alcuni festival dedicati a questo particolare formato e, durante il lockdown della scorsa primavera abbiamo organizzato giusto una piccola uscita noi, in tempo limitato, sui nostri canali. Ora stiamo lavorando a una serie di finzione e a due serie documentaristiche, ma non posso ancora dire molto, dato che al momento siamo ancora in fase di sviluppo.

Sperando che si possa tornare presto al cinema, c’è una sala in particolare a cui sei legato o che apprezzi particolarmente?

Tra le sale italiane mi viene subito in mente il Postmodernissimo di Perugia, piccolo multisala sensazionale e che tra l’altro ha vinto anche bei premi per le attività che propone. Inoltre, non fa solo cinema e basta, ma è proprio un polo culturale, un centro di aggregazione. Ci sono altre realtà interessanti, come le sale resistenti dell’Azzurro Scipioni di Silvano Agosti e del Cinema Dei Piccoli di Roma, ma quella del Postmodernissimo è sicuramente un’esperienza da prendere a modello.