Il club del disco: Parlare di musica

Il club del disco” è un vivace dibattito su telegram tra Alessandra Virginia Rossi e Gabriele Naddeo. È un format per i lettori più affezionati di Talassa: puoi riceverlo una volta a settimana iscrivendoti al nostro canale telegram. Non riceverai più di un messaggio a settimana, perché ci piace essere sul pezzo, ma senza esagerare.

Ogni settimana su “Il club del disco” commentiamo e analizziamo le novità più interessanti in ambito italiano e internazionale. Ogni mercoledì (a volte anche il martedì), invece, pubblicheremo anche qui sul sito il contenuto che gli iscritti al canale telegram hanno letto qualche giorno prima.


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Caro Gab,

“tanto ci fanno divertire, tanto ci fanno appassionare”… Oggi ti parlo degli artisti, delle loro difficoltà, delle loro fortune, delle loro vite incasinate fuori dai palchi. Anzi, te ne parla The Eddy. E’ Netflix, il mio coinquilino-affetto stabile da oltre due mesi, che mi ha fatto scoprire questa nuova serie tv francese.

Elliot e Farid sono soci proprietari di un locale che fa musica jazz dal vivo in una Parigi dai mille colori etnici. Col jazz non si scherza e chi ha visto Whiplash lo sa, perciò se la cantante non è stata il massimo, gli animi della band si scaldano, se il sassofonista si fa una risata di troppo vola un charleston. 

Poi c’è la questione degli affari. Gestire un’attività oggi non è un impresa solo in Italia e il rischio di chiudere, anche a carissimo prezzo, è una minaccia che aggiunge pressione su pressione. Mettiamoci i problemi di tutti: solitudine, relazioni sempre complicate, figli con crisi adolescenziali, la tentazione di una carriera più facile, redditizia ma umiliante, compromessi sul lavoro (esibirsi ai matrimoni: l’incubo di chiunque sogni di farcela sul serio) e The Eddy è completo.

Da musicista inetta mi è sempre sembrato che gli artisti vivessero in un’altra dimensione pur camminando tra noi e condividendo gli stessi nostri problemi. Eppure negli intermezzi musicali di The Eddy quando dal niente tutto si trasforma in un rito tribale, sacro, catartico, divertente non posso che dirmi “Oh beh, loro hanno sempre la musica”. Però ecco, hanno anche la figlia adolescente, il marito nei guai, un padre malato, le tossicodipendenze e talvolta il cuore a pezzi. Quindi, almeno “chez nous” potremmo iniziare ad impegnarci per considerare gli artisti qualcosa di più che semplici intrattenitori

Rifletto su un’ultima cosa. I tributi al Maestro Ezio Bosso, che di parole non ne ha mai sprecate, stanno riempiendo tv e canali di comunicazione di ogni tipo e lui, col suo ultimo atto, ci ha ricordato quanto l’importanza che ha la musica, e l’arte tutta, sia costantemente sotto ai nostri occhi. Se tutti, nessuno escluso, alla fine, siamo in grado di riconoscere che un uomo, da solo, può offrirci l’occasione di “trasformare i dolori in conforto”, è possibile che periodicamente si debbano rifare discorsi anacronistici come quello scatenato dalla gaffe del Presidente Conte? Sappiamo tutti amare la musica, forse è ora di imparare a parlarne.

Saluti grati e commossi,

Ale


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Cara Ale,

C’è stato un periodo su Facebook in cui chiunque, o almeno questa era l’impressione, condivideva meme di Nanni Moretti. O spezzoni di film di Nanni Moretti. O post che criticavano chi condivideva i meme di Nanni Morretti. O post che criticavano i post di chi criticava. Non posso fare a meno di ammettere il fascino e lo sconforto insieme che provo per queste spirali infernali altresì note come polemichette. Per quanto mi riguarda, sono sempre in bilico tra la frustrazione di non riuscire – o non volere – partecipare a una specie di dibattito collettivo portato avanti in un modo che sento non appartenermi VS la leggerezza, la voglia e la consapevolezza del voler dire la mia. In sintesi: il mio essere su Facebook & co. è un pendolo che oscilla tra ”lo scemo del villaggio” e lo ”pseudo-intellettuale da torre d’avorio” e che spesso si risolve in un essere ”lo scemo del villaggio nella torre d’avorio” (worst combo ever, mi rendo conto).

”Ammazza eccheppale – dirà a questo punto anche il più appassionato dei nostri lettori – ”questo non scrive pe du’ mesi e poi se ne esce con sto pippone”. Hai ragione, oh lettore appassionato, e ti ringrazio per aver esternato un ragionamento condivisibile, ma il fatto è che frasi così grossolane, come quella di Conte, hanno il potere di farmi ricadere in questa specie di girone infernale che definirei come Spirale del Disagio.

A sto giro, però, il mio disagio da cameretta va a farsi una passeggiata (con la mascherina, tranqui) e una cosa la dico anche io: basta. Basta come ”basta con questo totale disinteresse nei confronti di una categoria di lavoratori” perché la musica, l’arte e tutto il resto appresso è innanzitutto, chi l’avrebbe detto – un lavoro. Basta come ”basta farsi un giro sul sito del Ministero dei Beni Culturali, del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), ma anche di associazioni grosse dell’industria musicale – tipo Assomusica – per provare un profondissimo senso di disagio e di scollamento con la realtà”. E non sto parlando solo dei siti web – chiaramente progettati per un pubblico over 60, ma della quasi totale mancanza di tutele legate a questo settore, di interventi seri, di riflessioni condivisibili.

Fortunatamente, ”per ogni uomo che danneggia la realtà” (cito a volo un Tommy Paradise d’annata per smorzare i toni) c’è qualcuno che rimette le cose a posto, che dice cose sensate, che insomma ti dà fiducia. Qualcuno come Miyazaki, per restare nel tema della citazione, i cui film mi hanno accompagnato per tutta la durata della quarantena. Però anche qualcuno di più vicino a noi, qualcuno tipo gli artisti e gli operatori del settore musicale italiano che – nonostante due mesi di stop, le incertezze sul futuro e le frasi grossolane – riescono a farci sperare, a farci incazzare, a farci dubitare, a farci piangere, a farci vomitare, a farci stringere il cuore, a farci cadere, a farci abbracciare, a farci riflettere. Addirittura, anche a farci divertire.

La cultura, e chiudo, non è una roba astratta, impalpabile. La cultura ha facce, occhi, mani, gambe, braccia e culi che in questo momento di enorme difficoltà hanno bisogno di sussidi, tutele, progetti concreti, proposte, iniziative e – wait for it – soldi. Noi, nel nostro piccolo e con tutte le difficoltà del caso, possiamo fare qualcosa e non sta certo a me dire cosa e in che modo.

Com’è che diceva ”Palombella Rossa” di Moretti? Ah, sì: ”le parole sono importanti”. Figuriamoci i fatti.

Saluti dalla Spirale del Disagio,

gab.

P.s. proprio adesso che ti sto scrivendo è nata una nuova piattaforma ”La musica che gira – Lavoratori della musica unita”. Ci andiamo a dare un’occhiata?