Il club del disco: Cosa scegliere tra rehab e Chick-fil-A

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Caro Gab,

uno dei miei film preferiti inizia così: “Tempi oscuri davvero. E maledettamente scomodi!”. Sì lo so, in un momento in cui è Joker il film più chiacchierato da tutti, io che cito Mago Merlino forse non faccio la più ganza delle figure. Neanche la peggiore però, perché, in fondo, vuoi dare torto al mago più potente del mondo? Dal momento che anche il sardonico personaggio della Dc Comics ha assunto, ormai, i tratti del 21th Century Schizoid Man, dobbiamo ammettere che da questo mondo attuale non ci si salva.

Il nervous breakdown è dietro l’angolo e gli artisti, non solo ci aiutano a fare i conti col nostro, ma devono anche badare ai loro. C’è bisogno che io ricordi la cara Britney* nel 2007 che ha deciso di trasformarsi in una Eleven di Stranger Things ante litteram? Oppure potrei parlare dell’infinità di rockstar e popstar che hanno dovuto prendersi una pausa almeno una volta o purtroppo non sono riusciti a sciogliere i troppi nodi che ingarbugliavano loro la testa. 

Al momento attuale sono usciti ben due album che mi danno l’assist per parlarti di quanto talvolta le nostre emozioni possano improvvisamente affaticarsi e affaticarci. Il primo è firmato dal King dell’esaurimento nervoso, del narcisismo, dell’eccentricità, dell’eccesso: Kanye. Solo Kanye. Perché se i Beatles erano famosi quanto Gesù, lui è sulla strada per mettersi al suo posto. Ironia a parte, “Jesus is King” è uscito praticamente nel momento in cui la scorsa settimana abbiamo imbucato le nostre missive e so che hai pronte 50 pagine in proposito. Perciò vado a parlarti di un altro re della psicoterapia.

Fabio Bartolo Rizzo si è guadagnato il mio giovane disprezzo nell’ormai lontano 2008 con un pezzo chiamato Badabum Cha Cha. Abbi pazienza, ma in quegli anni correvo dietro solo a The Strokes, Arctic Monkeys e mi apprestavo a dire addio ai White Stripes entro l’anno successivo. In tempi recenti, invece il rap si è imposto come il genere musicale portavoce del nostro tempo. Che ne è oggi? Viviamo la sua definitiva affermazione o si è già infiacchito? Questo è un po’ il dibattito che può sollevarsi intorno a “Persona” di Marracash scritto in seguito al crollo che lo ha affetto negli ultimi anni e che, da quanto dichiarato, lo ha messo di fronte a nuove consapevolezze dopo aver perso il gusto di molte cose. Insomma anche i rapper hanno bisogno della terapia!

I puristi del rap e della trap attuale sono cacciatori di beat e infatti ce ne siamo accorti da quanto la profondità delle liriche ne abbia risentito. “Persona” non è perfetto da quel punto di vista ma è molto importante se consideriamo che è un ennesimo (buon) contributo al detox che sta vivendo il rap dalla mascolinità tossica e, non ultimo, dall’esclusività maschile. Non mi dispiace se il concetto di rivalsa, tanto caro al genere, possa ora distaccarsi da quella di tipo più materiale per orientarsi verso una rivalsa morale e soprattutto interiore. Davvero un ottimo messaggio per tanti. 

Grande Marra che comunque pure con Badabum Cha Cha non le ha mai mandate a dire. Lo rivaluto soprattutto perché non me lo metterei mai contro.

Prima di salutarti, ti segnalo (senza pormi il problema di essere JackWhiteorroica) che è uscito il nuovo videoclip da Help us Stranger. Si tratta di Somedays (I don’t feel like trying) per ribadire che comunque, se alle volte ci va solo di piangere e non ci va neanche di provarci, è tutto super ok: possiamo farci un giro in quel lunapark surreale che hanno messo su i Raconteurs o ovunque vogliamo, lontano da ogni responsabilità.

Saluti introspettivi ma non troppo,

Ale

*Britney non se la prende se scherziamo, ma ricordiamoci che trovarsi un po’ di disordine dentro è possibile e cercare supporto è da coraggiosi. Just in case, cercate aiuto psicologico senza vergogna, le prime sedute sono sempre gratuite!


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Cara Ale,

Se mi citi Mago Merlino, non posso non pensare a uno dei personaggi più buffi de La spada nella roccia: Ser Pilade, il cavaliere coi baffoni. Quello di ”Caio re? Che idea agghiacciante”, per intenderci. Ora, restando in tema di re improbabili, direi di passare un attimo da Caio a Kanye, uno che a Ser Pilade avrebbe fatto perdere le staffe in continuazione, ci scommetto.

Alla fine Kanye West ce l’ha fatta. ”Jesus is King” è un capitolo curioso della discografia di Ye, dove curioso sta per divisivo e autoreferenziale (e fin qui niente di strano mi pare), ma anche a tratti monotono oltre che brillante. Soprattutto, è un altro capitolo brevissimo della discografia di Kanye, che ci ha fatto aspettare in eterno per un disco di 11 canzoni, per un totale di 27 minuti – seguendo la scia del precedente album Ye – contro le 22 canzoni e i 66 minuti di The Life of Pablo.

Musicalmente parlando, ti dico la verità: a me il disco non dispiace affatto, anzi. Dopo il periodo rosso di My Beatiful Dark Twisted Fantasy e l’arancio di The Life of Pablo, il periodo blu di Kanye avvicina il gospel all’elettronica e in certi casi (vedi il brano On God) il risultato è centratissimo.

Poi però uno ascolta i testi e ci rimane un po’ di merda. In primis, sono i riferimenti a Trump e le sparate fanatiche a tema religioso a fare male. In più, c’è anche la quasi totale assenza di uscite sui generis à la Kanye. Di fatto, in Jesus in King mancano veri e propri guizzi bizzarri – fatta eccezione per la metafora assurda sulla catena Chick-fill-a in Close On Sunday – come sottolinea Federico Sardo.

In ogni caso, nonostante Kanye si sia preso l’attenzione dell’internet durante gli ultimi giorni, bisogna dire che c’è vita oltre ”Jesus is King”. Sto pensando al nuovo singolo di Porches, “rangerover”, e al suo synth pop così melanconico e preciso. Oppure a Sudan Archives, che ci fa riscoprire la passione per gli archi in salsa R&B. Mi raccomando però: non dire a Kanye che sta settimana ho ascoltato anche altra musica, che se no ci resta male. Soprattutto, non dire niente a Ser Pilade, che ha già i suoi problemi con Caio.

Saluti coi baffoni,

gab.

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