Come organizzare un festival musicale al Sud nel 2019


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In questa densa intervista con Chiara Longo, una delle organizzatrici dell’Alibi Summer Fest – in programma a San Severo (FG) il 26 e 27 luglio – abbiamo parlato di come gestire un evento musicale di tale portata partendo (quasi) da zero, soffermandoci su quanto effettivamente abbia attecchito una cultura da festival nel nostro paese e sulle sfide che la questione sostenibilità pone sin da oggi quando parliamo di musica live.

Intervista a cura di Maurizio Anelli

Innanzitutto, qual è il tuo ruolo all’interno dell’Alibi Summer Fest?

Trattandosi di una prima edizione non abbiamo dei ruoli prettamente definiti, ci siamo divisi il lavoro. Marco Matera è il vero e proprio direttore artistico e ha ideato il festival, io mi sto occupando sia della parte comunicativa sui social, e in particolare di Facebook, sia di alcuni aspetti della produzione.

Come si organizza un festival nel Sud Italia? C’è qualche differenza rispetto ai festival del Nord?

Prima dell’Alibi ho lavorato per sei anni nell’organizzazione del MI AMI a Milano e quando sono arrivata lì c’era già una realtà molto grande e consolidata, una macchina ben oliata. Le personalità coinvolte erano altamente specializzate ed ognuno aveva il proprio ruolo, quindi, un po’ come ti accennavo prima, la prima differenza è questa. Sicuramente poi la percezione della gente è diversa: lì a Milano tutti sanno benissimo cos’è un festival e come funziona, cosa si ascolta, conoscono l’Idroscalo come bellissimo punto di riferimento per la musica dal vivo – c’è anche il Circolo Magnolia che fa attività lì da anni –, e il MI AMI ha alle spalle un colosso come RockIt che lo pubblicizza tutto l’anno.

Parlando della Puglia, se alcune zone della regione sono state invase da festival che vengono da fuori tipo il VIVA! (estensione estiva del Club to Club di Torino ndr.) o da realtà ormai consolidate come il Locus o il Farm, il territorio del foggiano è stato sempre un po’ vergine da questo punto di vista. È completamente da costruire, anche in quanto a pubblico, che poche volte si è trovato a contatto con proposte del genere. È una sfida per noi molto stimolante creare qualcosa di nuovo, e deve essere all’altezza di quello che le altre province hanno già ricevuto negli anni precedenti.

Ma quindi statisticamente c’è meno conoscenza degli artisti da parte del pubblico e quindi più difficoltà a formare una line up interessante?

No, nel caso della line up non credo. All’Alibi ci saranno molti artisti ascoltati dai più giovani: la giornata del 27, per esempio, sarà quasi tutta dedicata alla trap e al rap e credo non ci sia nulla di più contemporaneo e di più vicino a quello che i ragazzi di tutta Italia ascoltano.

Invece quello che manca è la consapevolezza rispetto a cos’è, nello specifico, un festival, ovvero l’idea di uno spazio multidisciplinare dove succedono cose, dove puoi scegliere tra più palchi. Ci sono poi attrazioni di diversa natura – una sosta nell’area relax, un giro sulla ruota panoramica, un’intervista/incontro con un artista – che danno un’idea di intrattenimento a 360 gradi, estesa per altro nel tempo a più giornate, che non rispecchia insomma il concetto delle “due ore in piazza” ed è totalmente nuova in questo territorio. Spero infatti di riuscire a far passare questo tipo di prospettiva anche qui.

Io credo poi che ci stiamo evolvendo anche qui in Italia, ma rispetto ai grandi festival musicali del Nord Europa ci sia ancora molto da fare…

Penso che il bello dei festival europei, che in generale rispecchia la mia idea di festival, sia il fatto che tu possa prenderla come una mini-vacanza in un posto completamente fuori dalla tua routine, vivendo un’esperienza h24. Mi riferisco per esempio al Sziget in Ungheria, che ha sfruttato l’idea dell’isola felice costruendo una vasta area camping; diventa un vero e proprio villaggio dove sei coinvolto tutto il giorno.

Alla lunga si crea una fiducia con il pubblico, che pur non conoscendo ancora la line up compra già gli abbonamenti, perché sa già che in questi contesti viene fatto un ampio racconto della musica contemporanea e ci sarà per forza qualcosa che gli piacerà o qualcosa di nuovo che scoprirà. Il Primavera Sound di Barcellona per esempio è diventato un marchio e nonostante le critiche di quest’anno alla line up, non mi sembra sia andato male…

L’importante è quanto stupisci con l’esperienza offerta, ed è quello che cerco di fare per tutti gli eventi a cui lavoro.


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Ricollegandoci ai concetti di “marchio” e di “esperienza”, come si fa a promuovere qualcosa che nasce da zero?

In questo siamo stati molto aiutati dai nomi che abbiamo in scaletta, perché altrimenti avremmo fatto più fatica. Era nostro desiderio entrare a gamba tesa sul territorio e dire: «Ci siamo e vi abbiamo portato qualcosa di speciale!». I Subsonica, per esempio, hanno chiuso con noi una delle loro prime date del nuovo tour fidandosi di una cosa nuova come la nostra, e tra l’altro è stata la prima in assoluto nel Sud Italia perché nella tranche invernale non c’erano ancora stati.

Poi questo festival ha anche la fortuna di avere alle spalle un’esperienza molto positiva che è quella del “The Alibi”, un club di Foggia aperto da Marco Matera circa un anno e mezzo fa, dove già si organizzavano concerti: grazie a questo lui si è potuto creare un pubblico che lo segue e ha fiducia nelle sue scelte artistiche sul territorio.

Quanto è stato difficile trovare una location adatta?

In realtà abbiamo avuto da subito la piena collaborazione del Comune di San Severo che ci ha concesso l’utilizzo di questo spazio nei pressi del palazzetto “Falcone e Borsellino” di Viale Castellana, dove tra l’altro organizzeremo anche le prossime edizioni.

Che ne pensi del caso dell’Home Festival, che a pochi giorni dal suo inizio ha cancellato i nomi più importanti (Aphex Twin, Pusha T, Jon Hopkins tra gli altri) della sua line up per ragioni di sicurezza?

Naturalmente mi dispiace per i colleghi e per la situazione pesante che si sono trovati ad affrontare. Anche l’Home è ormai un marchio e nessuno si sarebbe aspettato questa line-up fantasma.

Detto questo, mi sono fatta un’opinione personale ed è strano che alcuni artisti avessero annunciato date altrove negli stessi giorni (Pusha T ndr.), questo vuol dire magari che c’era qualcuno nella produzione che aveva opzionato gli artisti ma poi non si era conclusa la trattativa, possono essere successe tante cose. È anche vero che la questione sicurezza può giocare dei tiri mancini perché la burocrazia è tantissima: recentemente è diventata molto più stretta per alcuni gravi episodi avvenuti in Italia negli ultimi anni, sopra e sotto i palchi. Era anche la prima edizione nella nuova location, magari hanno fatto qualche errore di valutazione. Rimangono strane le tempistiche, ma voglio credere nella buona fede di chi si fa un mazzo così per organizzare questi eventi, anche per non intaccare il rapporto di fiducia che li lega al pubblico.

Dal punto di vista degli artisti medio-piccoli è più conveniente farsi vedere nell’ambito dei festival piuttosto in singole date in cui sono da soli?

Dipende, se hai appena fatto uscire un album, magari farti vedere da solo ha i suoi vantaggi. Però d’altra parte il festival è una grande occasione per raccogliere pubblico nuovo, ricevere promozione in più e, dal punto di vista economico, risparmiare perché c’è già tutta l’attrezzatura che serve: se abbatti i costi riesci a fare più date.

Escludendo i nomi super-grossi, pensi che ci sia una disparità tra i cachet richiesti dagli artisti e la loro capacità effettiva di portare persone?

È una questione molto complessa, diciamo che al momento il problema cachet è molto dibattuto tra noi addetti ai lavori: un innalzamento del costo degli artisti c’è stato, ma poi effettivamente ripagano a livello di pubblico. Band che fino a dieci anni fa non avrebbero potuto, ora possono permettersi di fare l’Ippodromo delle Capannelle a Roma e riempirlo.

Quello che ho osservato è che negli ultimi due anni è un po’ sparita la fascia media: c’è una schiera di artisti piccoli e poi c’è una fascia molto più ampia di “super star”, sono sparite quelle band che magari riempivano un club da 200 persone con un cachet medio tra i 2000 e gli 8000 euro.

A noi è capitato di lasciare a casa artisti che chiedevano troppo perché non avrebbero aggiunto pubblico a quello previsto, quindi abbiamo puntato su altri artisti più giovani da far scoprire.

È possibile seguire l’esempio del Terraforma, ovvero creare un festival totalmente plastic free? La sostenibilità è un tema importante anche quando si parla di musica live?

Tante realtà per fortuna si stanno adeguando e anche l’Alibi Summer Fest sarà totalmente plastic free. Sarebbe bello che le istituzioni ne tenessero conto perché i festival musicali muovono tanti soldi: il biodegradabile presenta costi maggiori e un aiuto in termini di agevolazioni economiche da parte, per esempio, del Ministero dell’Ambiente gioverebbe non poco a tutti. Una sinergia con le istituzioni servirebbe anche ad educare il pubblico.

Tra l’altro se io non posso portare all’interno una borraccia o una bottiglietta di plastica, non puoi costringermi dentro a comprare l’acqua a tre euro: all’Alibi abbiamo ovviato a questo problema installando delle fontanelle di acqua potabile, almeno manteniamo il pubblico idratato…

P.s. Anche noi di Talassa saremo all’Alibi Summer Fest, ci vediamo lì!