Giro di boa #11 – “Amici” di Massimo Pericolo


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Giro di boa è la nuova rubrica di Talassa che analizza una canzone in tre momenti diversi, prendendo spunto dalla profondità del mare. Dalla riva, che racconta l’artista e il brano in generale, alla boa, segnalatrice di frasi interessanti, oscure o controverse nel testo, fino al blu, che rischiara o complica ancor di più il tutto.

di Maurizio Anelli

Riva

Nei giorni in cui esce il video di Visti dall’alto di Rkomi – con le firme di Charlie Charles e Dardust – decidendo di mettere in scena il suo lato più autoriale, sotto un cielo di produzioni serializzate, e staccandosi una volta per tutte da quell’intro di un suo pezzo di qualche anno fa, dove veniva definito “il Nas italiano”, ho deciso di interrogarmi, deluso da questa piega, su cosa invece potesse rendere Massimo Pericolo la “nuova” voce del rap italiano.

L’uscita del brano 7 miliardi è paragonabile ad un tizio che, mentre mangia in un ristorante piuttosto affollato e austero, inizia a cantare a squarciagola e pure con una certa padronanza: c’è chi si volta dall’altra parte, a disagio, cercando di ignorarlo, chi indignato si fa spostare di tavolo, chi invece ne rimane ammirato e chi, infine, cerca di avvicinarsi tentando di saperne di più.

Nel video della canzone il rapper lombardo brucia una tessera elettorale e i suoi amici fumano eroina dalle stagnole, in una sorta di continuum estremizzato – e quindi non del tutto nuovo – della poetica di testi e immagini che ultimamente proviene dalla scena romana, ed in particolare dalla Love Gang.

Oltre a questi elementi, contribuiscono alla mitologia di questo ragazzo un innegabile peso sulla credibilità di strada, dovuto ad una detenzione di due anni per spaccio, un realissimo odio per le istituzioni e le collaborazioni con la gente giusta: Crookers, Nic Sarno, Generic Animal tra gli altri.

A pochi giorni dalla sua primissima, infuocata, esibizione live al MI AMI Festival, Massimo Pericolo sta per tuffarsi in un’estate densa di concerti e apparizioni importanti in alcuni dei festival musicali della penisola: abbiamo davvero collocato tutti le carte sul tavolo per poter comprendere meglio questo fenomeno?

Scendiamo più giù.

Boa

Il primo disco di Massimo Pericolo – uscito il 12 aprile per Plugger e Lucky Beard Rec. – è intriso di realismo sin dal titolo: Scialla semper è infatti il nome dato dalla Procura di Varese all’operazione anti-spaccio che nel 2014 ha portato 28 persone in carcere, tra cui proprio Alessandro Vanetti. Dalle ceneri di questa controversa esperienza è nato l’artista che oggi conosciamo, e la chiave del suo successo sta proprio qui. Prima dell’arresto il ragazzo ci aveva provato sotto altri pseudonimi, rimanendo pressoché invisibile e scandalizzando, ai tempi, chi avrebbe potuto dargli visibilità.

Cosa è cambiato?

Nel dicembre dello scorso anno, poco prima dell’uscita di 7 miliardi, in un locale in provincia di Ancona dove avrebbe dovuto esibirsi Sfera Ebbasta, sono morte 6 persone. Senza rievocare i tristi avvenimenti nel dettaglio, una fetta di opinione pubblica si è scagliata senza alcun motivo plausibile verso l’artista, accusandolo di circuire i ragazzini con testi ben al di fuori della morale comune. Questa diatriba si è fortunatamente esaurita dopo qualche settimana, il rapper ha esportato il suo successo ben oltre i confini italiani e prossimamente sarà uno dei quattro giudici di X Factor Italia.

Se quest’abito non si è adattato a quello che Sfera Ebbasta è diventato col tempo, il concetto si è subito radicato in profondità per l’autore di Scialla semper: Massimo Pericolo è il capro espiatorio. Il pubblico del 2019 vuole qualcuno che faccia robe assolutamente estreme rimanendo, allo stesso tempo, totalmente lontano dal poterle replicare (o al massimo scimmiottandole): Alessandro brucia la tessera elettorale perché noi non oseremmo; fa quello che noi, al limite, commenteremmo di gusto. È paradossalmente una figura cristologica: l’estate in galera è il suo sepolcro e Massimo Pericolo è la sua resurrezione. Ha le spalle sufficientemente grandi per prendersi i peccati di tutti, mantenendo all’interno dei suoi brani ripensamenti umanissimi –“Voglio solo una vita decente” da 7 miliardi  – e proponendosi addirittura come alternativa escatologica – “Meglio crederci di più che credere a Gesù” da Sabbie d’oro – con una concezione salvifica tutta sua.

Amici, che chiude il disco, oltre ad essere una perfetta riproduzione in versi della vita di provincia, mi ha fatto ripensare ad una scena notissima. Eccone qualche estratto:

 

Dico di sì perché insistono
Anche se insistono, no, non ci vengo alla festa di questo
Neanche se fosse la festa di Cristo e poi (no)
È da un po’ che non esco 

Qui la vita alla lunga fa schifo
Passa dal Tigros a prendere il bere
Che almeno beviamo da schifo
La vita è più bella ed è pure più breve (baby) 

E non mi ero mai sentito così
Come se nessuno c’ha tutto e io sì
Come se non mi fossi mai perso niente
E non avessi più niente da perdere
Potrei anche andarmene adesso
E chiudere questa partita
Senza mettermi in fila con gli altri
E aspettare che vinca la vita

Blu

Amici descrive una le sensazioni vissute da Alessandro prima, durante e dopo una festa organizzata dalle sue parti. L’evento, a cui all’inizio non vuole prendere parte, può essere metaforicamente visto come il destino che l’artista deve seguire nonostante le ritrosie iniziali. La scena è quella di un’ultima cena, urbana e laica; non a caso viene nominata “la festa di Cristo”.

In questo senso è forte il legame con i propri compagni, rafforzato da una comunione del bere assieme per dimenticare le insidie di una comunità che troppo presto li ha dimenticati, additandoli come diversi. L’atmosfera è pervasa da presagi di morte, ma alla fine della fiera non è altro che una dolce presa d’atto.

Se tutto finisse in quel momento sarebbe tollerabile anche una vita breve, perché il rapper è con i suoi amici e sente che non gli manca nulla. Questo status di assoluta euforia, quasi di onnipotenza, potrebbe sostituirsi istantaneamente ad un’esistenza di povertà e stenti, senza “aspettare che vinca la vita”.

È infatti la morte che trionfa, continuamente, nell’immaginario di Massimo Pericolo, e noi non possiamo che star lì a rimirarlo sentendoci migliori, storditi ma infine redenti.