Il Club del Disco: Simm’ ‘e Napule, paisà

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Ogni settimana su “Il club del disco” commentiamo e analizziamo le novità più interessanti in ambito italiano e internazionale. Ogni mercoledì, invece, pubblicheremo anche qui sul sito il contenuto che gli iscritti al canale telegram hanno letto due settimane prima.


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Gabriele:
Con l’uscita dell’album d’esordio di Liberato, dei video di “Capri Rendez-Vous”, del vinile bianco a tiratura limitata (905 copie come il 9/05), del vinile nero e del cd, ho finalmente una marea di scuse per raccontare una cosa a cui tengo parecchio. Da quando mi sono trasferito all’estero, senz’altro complice la lontananza da casa, mi sono innamorato del dialetto. Non solo del dialetto napoletano (dialetto impropriamente detto, tra l’altro, essendo una lingua a tutti gli effetti), ma proprio dell’idea di dialetto in generale. Cominciavo a pensare che per l’emigrato il dialetto era una specie di cordone ombelicale con le radici più profonde della sua terra. Una formula segreta per riconnetterlo con una serie di credenze, tradizioni e immaginari tramandati negli anni e condivisi con la propria comunità locale di riferimento.

È proprio qui che si intuisce allora la bellezza (e azzarderei anche la necessità) di un progetto come quello di Liberato: la capacità di rendere così popolare una visione che in realtà è estremamente locale. La bravura nel saper mettere in equilibrio tradizioni e modernità, sonore e visive, riportando in auge il filone della canzone d’amore partenopea e del Neapolitan Power al tempo dell’R&B contemporaneo.

In ogni caso, la vera rivoluzione di Liberato (e Francesco Lettieri) è secondo me un’altra: aver saputo realizzare un prodotto pop dirompente e di qualità come non se ne vedevano da un po’, capace di essere tanto cantato a squarciagola a Napoli, Milano, Roma o Barcellona, quanto letto e analizzato da numerose prospettive. Provo a spiegarmi con due esempi veloci. “DIE” di Iosonouncane è un capolavoro, full stop. Di arrangiamenti, di testi, di citazioni, di melodie. Direste però che è un disco veramente popolare? Mi piacerebbe poter dire di sì, ma a conti fatti non è così. ”Completamente Sold Out” – il disco che ha reso i Thegiornalisti popolari in Italia – è sicuramente un album pop, pieno di canzoni radiofoniche a effetto singalong assicurato, ma voi ci perdereste le ore a esaminare quel determinato verso o suono? Io nelle canzoni e nei video di Liberato ci trovo un gran bel connubio tra immediatezza e spessore, e tanto tanto pane (senza glutine) per i denti del me che vuole solo le hit dell’estate da gridare e ballare a caso e il me che starebbe le ore in cameretta a vivisezionare una canzone.

Di difetti (mi verrebbe da dire soprattutto nella parte musicale rispetto a quella visuale) ce ne sono e non ci piove, ma io continuo a vederci molti, ma molti più pregi. Soprattutto quando si ascolta (oltre a 9 maggio) un pezzo come Guagliò o quella specie di tammurriata del coro di Nunn’a voglio ‘ncuntrà.

Tu che pienz, Alessà? Che se rice e’ Liberato ‘nda Capitale?

Saluti imbarazzati dopo il tentativo di scrivere in dialetto. Cche poij ij nu song’ manc e Napule, ij song’ e’ Saliern.

Gabriè


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Alessandra:
Sta’ senza pensier’ Gabriè, che se c’è qualcuno che fa brutta figura a scimmiottare la bella lingua campana sono proprio io che dopo una puntata di Gomorra penso in napoletano come quando vedi un film in lingua e ti senti sulla buona strada per impararla sul serio. 
Torniamo seri perché qua la situa è moooolto seria. 

Liberato. Che dire, io ho un debole per gli incompresi e il fatto che una cosa risulti subito popolare, apprezzata e metta tutti d’accordo mi fa considerare che allora non deve lottare abbastanza per venire al mondo. Forse sono solo un’antisociale. Certamente il progetto Liberato racchiude una marea di simbologie tutte da spacchettare e, non ultimo, come un novello Young Pope, fa della sua assenza un’attrattiva da star. E’ così che gioca Dio no? 

Ora, sono convinta che la fortuna del nuovo Liberato però la faccia un altro aspetto. Parlo di questo vivere di citazionismo, di rivisitazione di ciò che è stato già grande una volta e, però, per la prima volta. Vai a colpo sicuro se ripeschi dall’immaginario italiano per eccellenza. Commuovi di sicuro tutta Italia e mezzo mondo che ama l’Italia se tiri in ballo i faraglioni di Capri, la straniera e il barcarolo, gli “spaghetti a vongole”, le scappatelle d’amore estive brevi ma più intense di un qualsiasi e ordinario matrimonio e infine, come dici tu, se ti rifai a quei pilastri della nostra cultura che sono i canti popolari che hanno raccontato le nostre più grandi tragedie con la leggerezza di una tarantella.

Tutti bei sogni, ma sogni che ci fanno un grande effetto perché ci raggiunge ancora oggi il fascino duraturo di opere che cominciano a essere davvero lontane nel tempo (una mia amica superfan di Liberato ha visto Dino Risi in quel Dino, regista pensieroso, di Guagliò e non me la sento di appropriarmi brutalmente della sua idea visto che ci legge ). Certo è importante recuperarle così che se ne possa riparlare e possano essere riscoperte, ma alla crew di Liberato non attribuirei del genio, piuttosto sarei grata per il lavoro di recupero. 

Ho trovato più rivoluzionario il Liberato che mostra la Napoli di oggi, sconvolgendo musicalmente l’idea che avevamo della musica partenopea (tutta neomelodici e imbarazzo). Forse sulla vera voce dell’attualità si deve ancora lavorare parecchio e siccome viviamo tempi complessi dobbiamo dare tempo al tempo e ai nostri migliori narratori.

Lo stesso stallo lo individuo sulla scena black americana di cui parliamo e ci interessiamo costantemente. Da pochi giorni è su Netflix “Devil at the crossroads”, la storia del chitarrista blues Robert Johnson. La sua bravura spunta da un giorno all’altro dopo un periodo di assenza dal villaggio…cos’è successo? Pare abbia fatto un patto col Diavolo e il diavolo l’abbia così aiutato a cambiare la storia. Cosa rimane di questa eredità immensa oggi? Tutto il destreggiarsi delle star del nuovo r&b tra brand, spettacoloni e showbiz mi disorienta e mi impedisce di afferrare la sostanza della nuova narrazione. Aspetto che succeda di nuovo qualcosa di esplosivo che abbia l’impatto del loro vecchio blues e del nostro vecchio neorealismo.

Chest’è Gabriè!

Alessandra

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