Wrongonyou: la mia rivoluzione in italiano


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Marco Zitelli, in arte Wrongonyou, si avvia a chiudere un capitolo nel suo percorso di artista: Circles ed A New Life, i due singoli appena usciti, saranno gli ultimi in lingua inglese, per poi lasciare spazio al suo nuovo progetto in italiano. Talassa gli ha fatto qualche domanda per capire meglio questo suo grande periodo di cambiamenti.

intervista a cura di Maurizio Anelli

– L’artwork dei tuoi nuovi brani – Circles e A New Life – è un cerchio, che però non si chiude. Conti di poter lasciare una porta aperta e tornare a cantare in inglese, un giorno?

Quello sicuramente non lo escludo, non è certo un addio tragico quello che sto dando alla lingua inglese (ride). Ma il cambiamento è una cosa di cui ho bisogno in questo momento. Il cerchio non si chiude proprio per suscitare qualcosa in chi lo vede dall’esterno; io lo vedo, per esempio, al contrario, come qualcosa che ha iniziato ad aprirsi.
Tra l’altro sono molto felice perché la grafica per la prima volta l’ho fatta io, a mano! Ho disegnato mille cerchi, e l’unico che non è venuto chiuso è proprio quello che mi è piaciuto di più. Perciò sì, può essere anche inteso come uno spiraglio per il ritorno all’inglese, in futuro.


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– Ho notato che negli ultimi due singoli la tua voce è più pulita, hai usato qualche effetto particolare? È una cosa voluta?

In Circles in particolare, come effetto sulla voce, c’è più vocoder che armonizza la strofa e meno grattato sulla gola. È una cosa che è uscita in modo naturale, una sorta di zona di comfort in cui non dovevo spingere più di tanto per cantare: mi piaceva che la melodia girasse su quelle note e non c’era bisogno di una voce sporca che andasse a saturarle. Mentre A New Life secondo me è una lezione di canto gratis su Spotify (ride), c’è un cantato classico come l’avrebbe fatto Paul McCartney.
Per la verità mi sono arrivati anche dei commenti su Youtube sulla questione della voce pulita, io sinceramente non me ne sono reso conto, è stato più un caso. Non c’è una ricercatezza nel cantare più pulito o più sporco, mi piace cantare di cuore, con gusto e spontaneità: queste sono uscite così, vedremo le prossime!

– L’inglese delle tue canzoni è stato definito, nella presentazione a questi ultimi due brani, come un “filtro”. Alla lunga lo hai visto come una sorta di impedimento, per farti decidere di passare all’italiano?

Un filtro, sì. Ogni volta mi ritrovavo centinaia di messaggi su Facebook e Instagram con gente che mi chiedeva il testo delle canzoni e di cosa parlassero, persone che magari non masticano bene la lingua, quindi cercavo un contatto più diretto. Poi era un filtro anche per me, uno schermo: l’inglese è più facile per dire determinate cose e ti fa da scudo per l’ego e per la vergogna.

– Quindi lo scrivere in italiano ha comportato una sofferenza, coincisa con il tuo abbassare gli scudi.

È stato difficilissimo, all’inizio. Cantare, e sentire che dici delle cose subito comprensibili da tutti, mi ha fatto sentire nudo e indifeso. Però più cantavo e più prendevo confidenza, è questione di allenamento. Adesso come adesso non vedo l’ora di uscire in italiano: sono felice delle cose che ho scritto e già questo mi rende più sereno. È una sfida per me e per la casa discografica, dobbiamo salire di gradino.
E poi  in inglese ho già raggiunto obiettivi che nessuno si aspettava. C’è purtroppo questo tabù: un artista italiano che canta in inglese è a priori come se non avesse una gamba e dovesse fare una corsa, è sempre quello meno sponsorizzato e meno spinto dalle radio, che se proprio devono mandare qualcosa, piuttosto fanno ascoltare Ed Sheeran. Io sono comunque riuscito a passare su Radio Deejay, RTL, RadioRai, sono salito sul palco del Primavera Sound e del SXSW di Austin, ho aperto concerti di artisti stranieri che mi piacevano tantissimo come Daughter e The Lumineers. Mi manca Bon Iver, che per questioni di booking non è facile…
Se prima tutti giocavano a calcio e io a basket, ora posso dire di fare lo stesso sport degli altri.

– Certo, sarebbe stata una figata se avessi aperto Bon Iver il 17 luglio a Verona!

Ma sai che non posso ancora escluderlo? Finché non mi dicono di no…Sicuramente un salto al concerto lo farò comunque.


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– Ho letto che il passaggio all’italiano manterrà una certa coerenza di timbrica e sound. Se non si perderà nulla per strada del tuo stile, prevedi invece qualche arricchimento?

Ci sarà un arricchimento di vocabolario, anche di musicalità. Per forza di cose, alcuni elementi vanno cambiati. Quando ho cominciato a scrivere in italiano, a gennaio, mi sono letteralmente chiesto: «Come si fa?». Quindi mi sono fatto affiancare da autori esperti all’inizio, e poi da solo: come quando vai prima con la bicicletta con le rotelle e poi decidi di toglierle. Ho cercato di mantenere una certa profondità di testi, quel qualcosa in più magari sarà garantito dal messaggio più diretto e comprensibile all’istante. O magari sarà un’arma a doppio taglio…(ride)

– Tra qualche mese lo scopriremo…

Penso proprio che sarà molto prima di qualche mese, non vedo l’ora di uscire. Ho proprio necessità di espressione, mi sento in stallo e ho bisogno di sfogare, sento e risento le canzoni da mesi! A prescindere dall’apprezzamento del pubblico, che se c’è va sempre bene, necessito di fare quello che mi piace.

– Hai definito l’ultimo periodo della tua vita “rebirth”, ricavandone un album e la canzone omonima. Se dovessi definire invece il periodo che sta per arrivare con una parola, quale useresti?

Bella domanda…Prima parlavo di “stallo”, ma soltanto a livello discografico. Forse “movimento” è la parola giusta, perché sto facendo talmente tante cose e il tempo da gennaio è volato. Sì, movimento!

– Alla luce della mescolanza tra country, rap e trap –penso a Post Malone o al recente fenomeno Lil Nas X– tu ti inquadreresti in questo genere di sperimentazioni? Magari sentiremo qualcosa di particolare già nei tuoi prossimi lavori?

Questo Lil Nas X non lo conoscevo, sembra interessante(Lo cerca su Spotify e scopre che ha 34 milioni di ascoltatori). Ora mi hai messo la curiosità, dopo me lo vado ad ascoltare!
Comunque sì, mi ci vedo assolutamente. Già in Circles questa cosa esce fuori: dai miei giri di chitarra, Mace e Venerus (produttori di Circles ndr.) sono andati verso quel sound americano alla Post Malone, che tra l’altro è l’artista che preferisco se si parla di queste influenze. Ho fatto anche la cover della sua Congratulations, pezzo scoperto proprio in America mentre registravo Rebirth.
E questo si sentirà anche nei pezzi in italiano. Proprio oggi (lunedì 20 maggio ndr.) ero in studio con Fausto Cogliati e abbiamo fatto delle prove. Proverò a fare una rivoluzione: la mia base folk, metriche e melodie d’oltreoceano con testi in italiano, una roba molto contemporanea.

– Puoi anticiparci qualcos’altro sui tuoi prossimi lavori?

Premesso che non sono a conoscenza di date precise e non ho ancora scelto un titolo, proverò a portare un po’ di bel canto in Italia. Posso farti un po’ di nomi con cui sto lavorando: Fausto Cogliati, che ho già citato prima, ho fatto un pezzo molto bello con Dardust, poi ho scritto con Alessandro Raina, Davide Simonetta, Alessio Bonomo; uno con cui mi sto trovando veramente bene nelle produzioni è Francesco Catitti detto Katoo.
Quando tra gli addetti si è sparsa la voce che Wrongonyou avrebbe fatto un disco in italiano, sono stato cercato dalle persone giuste, c’è stato interesse. Mi è stato detto, sin dal primo singolo: «Fai qualcosa in Italia che nessun altro fa, trasportalo nella nostra lingua e farai crollare tutto». Ora penso che quel momento sia arrivato.