Giro di boa #8 – “Ieri l’Altro” di Franco 126


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di Maurizio Anelli

Giro di boa è la nuova rubrica di Talassa che analizza una canzone in tre momenti diversi, prendendo spunto dalla profondità del mare. Dalla riva, che racconta l’artista e il brano in generale, alla boa, segnalatrice di frasi interessanti, oscure o controverse nel testo, fino al blu, che rischiara o complica ancor di più il tutto.

Riva

«E c’avrei scommesso su noi due, invece ognuno per le sue»

Sono ormai passati due anni e mezzo dalla pubblicazione di Sempre in Due su Youtube e tutto ciò che ne è derivato per Carl Brave e Franco126 è stato un riconoscimento che ha man mano trasceso le Mura e la comfort zone dei sampietrini, per incastrarsi nella percezione comune del giovane romano prima, e italiano poi, come naturale conseguenza. Questo nuovo modo di descrivere la quotidianità della Capitale, raccolto nel fortunatissimo Polaroid, è diventato ben presto metodo collaudato per portare a casa la canzone, poggiando su una circolarità di temi e immediatezza pattuita con l’ascoltatore sin da Solo guai, definita la polaroid numero uno. Il rischio era arrivare, e forse in qualche modo ci si è arrivati visti episodi meno fortunati come Cheregazzina  e Avocado, a una certa serialità che appiattisse un’architettura musicale vincente sino a quel momento. “Ognuno per le sue” è quindi diventato, a un certo punto del percorso di questi due artisti, necessario per non morire.

Se all’inizio per Franco126 tornare “coi pezzi sua” poteva significare un azzardo dal punto di vista del pubblico –le motivazioni andavano dal ruolo preminente di Carlo anche come produttore delle tracce al fatto, all’apparenza più banale, che la roba solista di quest’ultimo fosse disco d’oro già da diversi mesi– sin dal primo singolo Frigobar l’impressione è invece stata quella di una direzione ben chiara nella testa dell’artista, sotto certi aspetti più incisiva e memorabile di quella intrapresa dal suo ex partner.

Il risultato è Stanza Singola: un disco onesto, molto popolare e venato di anni ’70, prodotto molto più che degnamente da Ceri Wax ( già collaboratore di Frah Quintale) e allontanatosi dalla svolta cazzara delle esperienze precedenti, per stazionare su un’interiorità malinconica.

Scendiamo più giù.

Boa

Il progetto di Franco è personalissimo e allo stesso tempo ambizioso. Lo dimostrano dieci canzoni in cui c’è un unico featuring, ma di alto livello: la strofa di Tommaso Paradiso nella title track. Quest’ultimo ne esce, peraltro, ringalluzzito, riuscendo in un colpo solo a scrollarsi la patina di autore comicamente sdolcinato e rientrando nella dimensione più essenziale dei suoi primi lavori.

Più che calare un cilindro di luce su determinati luoghi, questa volta il cantautore romano si concentra sugli oggetti. Roma si percepisce ancora, ma solo sullo sfondo, e se di spazi si parla sono prevalentemente interni, come il titolo dell’album suggerisce profeticamente. La scena se la prendono il Brioschi, il frigobar, l’alcool, il sushi, come in un circolo vizioso che preveda a fasi alterne l’abbuffata, la sbronza, il mattone del post, l’astinenza. E questo vale anche metaforicamente per le emozioni, costituendo la chiave del disco: Franco è rimasto avvinghiato ad alcuni momenti felici della sua vita e lasciarseli alle spalle è possibile solo stordendosi, in una dialettica di eterna rehab che nei 36 minuti del disco non arriva mai a una risoluzione definitiva.

Ieri l’Altro è uscita il 17 dicembre 2018, un mese prima dell’uscita dell’intera opera, e per la verità due giorni prima della pubblicazione prevista e annunciata, in una curiosa operazione di marketing meta-linguistica. Alla produzione di Ceri si affiancano le chitarre di Giorgio Poi, facendo un passo di più verso la connivenza diffusa tra l’urban all’italiana e le varie contaminazioni pop-rock. Il brano è un susseguirsi di imperfetti nostalgici ed esortazioni a ricordare, dirette a una persona precisa. Si tratta dell’accenno a un periodo in particolare della vita di Franco, raccontato in diverse interviste e sempre vivo nel suo immaginario.

Focalizziamoci sul testo e poi scendiamo nel Blu per capire meglio: 

Ci incontravamo in quelle scale ai gradini più in alto
Affogavamo i mozziconi in un mare d’asfalto
E mi sembra di rivedere i dettagli
Ma il tempo aggiunge sempre falsi ricordi 

E se passo in quella via
Sai, guardo ancora in su
E mi aspetto che ti affacci
Un fischio e scendi giù
E certe cose, no, non so spiegarle
E forse Dio era girato di spalle 

E ci dondolavamo su vecchie sedie di legno
E stavamo sempre sul punto di cadere
E di quei libri perdevamo sempre il segno
Questo silenzio non vuole tacere 

Blu

Come detto sopra, i riferimenti ai luoghi rimangono impliciti ed è il caso delle prime parole della canzone: i gradini costituiscono al contrario un riferimento geografico molto preciso per chi li ha vissuti. Si tratta infatti della Scalea del Tamburino, zona franca fra Monteverde e Trastevere e punto di ritrovo fondamentale per Franco e gli altri membri della sua crew: le scale da salire sono esattamente 126 ed è solo registrando questo dato che ci si rende conto dell’importanza del suddetto posto, per la diffusione tanto di un determinato stile di vita quanto di un marchio sempre più presente all’interno della musica italiana. Se i dettagli degli eventi possono sfumare e confondersi con falsi ricordi, i posti in cui sono accaduti non sono equivocabili.

Il ritornello costituisce l’apice del processo mnemonico in atto e l’artista ne costruisce un ponte col presente. L’interlocutore chiamato a rapporto di cui mai si fa il nome è Giovanni detto Gordo, tra i fondatori della 126 gang, venuto a mancare durante l’adolescenza della crew. Anche diverse canzoni di altri membri, tra cui Ketama126, ricordano l’impatto della morte di Gordo sulle loro vite. Probabilmente Franco non è ancora arrivato all’accettazione della cosa e ne dà l’immagine, un po’ amara un po’ beffarda, di un’entità superiore disattenta alle vicende umane, in un clima di fatalità inevitabile.

Perdere il segno di un libro e dondolarsi su vecchie sedie rischiando di cadere sono azioni che costituiscono la metafora di un particolare modus operandi della gang, condito di talento ma anche di molti eccessi, deleteri per il raggiungimento di un obiettivo prefissato. Non solo in musica, ma anche a livello umano. Si crea quindi una frattura insanabile tra chi ce l’ha fatta –se in maniera parziale o in via definitiva lo dirà solo il futuro– e chi non c’è più: questa spaccatura si è colmata di un silenzio rumorosissimo. E Franco pare che voglia sopravanzarlo col frastuono ancora più forte della sua musica.