Sanremo 2019: Francesco Motta si racconta


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di Gerardo Russo

Francesco Motta, dopo il successo degli album La fine dei vent’anni e Vivere o morire, propone a Sanremo il brano Dov’è l’Italia. Il pezzo nasce dall’urgenza di raccontare la perdita di orientamento percepita nell’attuale contesto storico del Paese.

Il cantautore e polistrumentista pisano torna all’Ariston dopo aver vinto la Targa Tenco come migliore opera prima nel 2016 e come miglior disco in assoluto nel 2018, diventando il primo artista nella storia della manifestazione a ricevere due targhe per i primi due album. In futuro vorrebbe scrivere un saggio sull’insegnamento della musica.

L’artista ha risposto alle nostre domande dalla Sala Stampa Lucio Dalla. Ha aperto la conferenza spiazzando tutti, spiegando come non gli piaccia fare dischi, ma che deve farlo però per un’esigenza interiore. Di seguito anche una selezione degli approfondimenti più interessanti proposti dai giornalisti in sala.

La tua canzone riassume tutte le tue qualità artistiche. Hai pensato di scriverla per presentarti al pubblico nazionale?

In realtà è andata al contrario. Dopo aver scritto questa canzone ho capito che dovevo cantarla a tutti.

Senti la necessità di rappresentare Luigi Tenco?

Ci penso a lui, in particolare a quanto le canzoni possano fare male. Le sue erano piene di speranza, assolutamente non tristi. Penso che la frase “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare” sia una delle cose più belle che esista.

Nel pezzo parli di una donna che non ricorda cos’è l’amore.

Ci fa dimenticare l’amore la paura di essere fragili. Puntare sull’aggressività per crearsi una facciata che ci faccia sentire forti, quando poi forti non si è.

Nada torna a Sanremo a dodici anni dalla sua ultima partecipazione, grazie a te.

Mi ha fatto capire che le canzoni sono molte più importanti di noi. Dov’è l’Italia è una delle poche canzoni della mia vita che mi ha fatto paura prima di cantarla e Nada è l’unica persona che può farlo.

Alla fine del 2018 sei stato protagonista di quattro concerti con Les Filles de Illighadad, gruppo femminile proveniente dal Niger.

Ero a Berlino quando, in un negozio di musica, un tedesco che ascolta solo me e Rino Gaetano mi suggerisce un concerto di questa band. Mi innamoro follemente di questo trio e dico subito al mio manager di voler fare a tutti i costi un tour con loro. Abbiamo fatto un giorno di prove dove abbiamo totalmente improvvisato, senza avere una lingua comune con cui comunicare.

I Criminal Jokers andavano molto bene, poi hai deciso di intraprendere una carriera da solista.

Non mi hanno più sopportato. Anche io faccio a fatica in questo, ma in qualche modo con me ci devo stare. Trovare altri due pazzi che a 18 anni decidono di fare della musica il proprio mestiere ti aiuta a sentirti meno pazzo. Facevamo punk, come adolescenti che per cercare la propria identità si inventano dei nemici da combattere. Ti accorgi poi che quei nemici non esistono e cominci a combattere te stesso.

Ci si interroga sempre su cosa significhi musica indipendente.

Penso che indipendente sia una parola davvero importante. A volte però è usata male. La musica denominata come indie nasceva da un parallelismo tra le etichette indipendenti e i brani proposti dagli artisti. Oggi invece vedo etichette indipendenti che fanno musica assolutamente non libera e major che fanno musica libera.