Giro di boa è la nuova rubrica di Talassa che analizza una canzone in tre momenti diversi, prendendo spunto dalla profondità del mare. Dalla riva, che racconta l’artista e il brano in generale, alla boa, segnalatrice di frasi interessanti, oscure o controverse nel testo, fino al blu, che rischiara o complica ancor di più il tutto.
Di Maurizio Anelli
Riva
Quando ho letto il titolo del nuovo singolo dei Cani, uscito per 42 Records l’8 novembre dopo quasi tre anni di silenzio, la prima cosa che ho pensato è stata che non ci poteva essere titolo migliore per raccontare il percorso artistico di Niccolò Contessa.
Il pezzo è stato scritto appositamente per la colonna sonora del film Troppa Grazia – uscito il 22 novembre nelle sale italiane, diretto da Gianni Zanasi e fresco vincitore del Premio Label Europa Cinema al Festival di Cannes – ma, oltre a mettersi al servizio della narrazione cinematografica, ribadisce a fan, addetti ai lavori, giornalisti una cosa semplice ma importante: i Cani continuano ad esistere, ma senza nessuna speranza di inquadrarli in un qualche tipo di progetto a lungo termine, sia a livello musicale che a livello di comunicazione.
Quando però, senza alcun preavviso, arriva una mossa di marketing che li riguarda si ha sempre l’impressione di un lavoro dietro le quinte fatto invece davvero bene. Solo, non mostrato in tutte le sue parti ma illuminato parzialmente, lasciando che sia il pubblico a immaginarne l’insieme negli anni. Come quella volta che svelarono, nel 2013, il loro secondo album “Glamour” –solo dieci giorni prima dell’effettiva pubblicazione– attraverso un volantino distribuito al concerto degli Editors all’Alcatraz di Milano. Per questa nuova uscita invece è stato creato un sito ad hoc con l’immagine di una scatola, nella semioscurità, circondata da piante. Il puntatore del mouse è diventato una torcia con il quale illuminare la scena. Sulla scatola, sfocato ma visibile, il nome della band. Ma non è tutto. Ancora una volta la chiave, l’elemento sul quale si fonda gran parte della dialettica della notorietà per Contessa è la presenza dell’assenza. Il mostrarsi senza averne bisogno. Sia che a farlo fosse direttamente Niccolò quando agli esordi si presentava con un sacchetto in faccia o quando circa un anno fa cancellava ogni traccia sui social della band, sia che tutte le informazioni necessarie sul nuovo singolo fossero effettivamente lì sul sito, ma invisibili, dove (quasi) nessuno avrebbe guardato. Il codice sorgente della pagina.
Boa
Il brano sembra confermare la strada intrapresa dalla band con l’uscita del loro ultimo disco “Aurora”, dove prevalevano dei testi più intimisti e volti all’esistenzialismo. I quasi quattro minuti della canzone scorrono malinconici, girando interamente, come già accennato, attorno all’alternanza della presenza-assenza di qualcosa. Contessa non rivela mai esplicitamente cosa sia “nascosto in piena vista” ma rende consapevole l’ascoltatore del fatto che questa mancanza –vera o apparente?– sia ovunque. Fra le pieghe del mondo fisico, in un prato o a bordo di un treno. Nel cosmo, fra le stelle. E persino nella musica, tra le distorsioni, le dissonanze e i tritoni della canzone stessa, come a dare l’idea di un’eterna non coincidenza tra i sensi che ci appartengono e un Senso più grande, totalizzante, esaustivo.
Ma ora immergiamoci nel testo:
“Oltre il finestrino nero
nel fantasma che
siede accanto a me sul treno
ho creduto di notare anch’io
qualcosa che non c’è”
“Nel cielo stellato
ho intravisto il mio destino
tornerà a trovarmi
come quando era bambino”
“Nascosta in piena vista”