Di Giovanni Colaneri
“The Banana Album”, come lo chiameremo amichevolmente, (o “Velvet Underground & Nico”) è prodotto e illustrato da Andy Warhol, eseguito dai Velvet Underground e Nico, un album figlio della PoP-Art e della cultura musicale degli anni ’60. All’uscita vendette circa 400 copie, intrappolato tra faide di copyright e violente censure, pubblicità mal gestita e contenuti ancora troppo insoliti, considerando che la banana sulla copertina è stata ideata “sbucciabile” per rivelare in realtà un fantastico fallo rosa shocking. Tuttavia, nel corso degli anni acquista sempre più importanza, sino ad essere considerato un album portante della storia musicale mondiale. Ma oltre alle iconiche note di “Sunday Morning”, a cosa dobbiamo questo successo?
Andy Warhol fu uno dei primi artisti in grado di utilizzare lo scettro del potere economico e, con questo, decise proprio di rivoluzionare l’arte, sdoganandola come professione e rendendo di fatto l’artista elitario e colto, obsoleto. Gli artisti sono sconfitti, sopraffatti dalla globalizzazione e l’introduzione dell’arte nel marketing, nel mondo. L’arte esce finalmente dalle gallerie e uscire dalle gallerie significa uscire da un sistema di mercato ormai obsoleto, fondato sullo scambio e sui prezzi delle singole opere. Warhol sposta l’attenzione dell’opera d’arte dall’essere oggetto “feticcio”, di scambio, oggetto economico, piacere individuale a cui il collezionista attribuisce un valore di scambio, a qualcosa di industriale, pubblico, globale. L’arte diventa un fenomeno sociale, appartiene a un “comportamento”, a uno stato d’essere. Il punto è proprio l’essere, la “Produzione” e non la “Riproduzione”, la creazione della realtà e la sua lettura, non la sua riproduzione e imposizione. La Pop-Art, il “Banana Album” è quindi parente dell’arte concettuale, è figlio della “Factory” Wharoliana, è la realtà creata dalla banda di Lou Reed, Andy Warhol e Nico (Chiamata da Warhol per rendere popolare il gruppo) posta sul piatto d’argento della tavola da pranzo del mondo. Bastano due giorni negli Sceptre Studios, due giorni ai T.T.G. Studios, ed ecco che, nel 1967 a New York, viene ultimato e pubblicato il debutto “Velvet Underground & Nico”.
Allora qual è la realtà di questo album?
L’oscurità, l’abuso di droghe, la prostituzione, il sadismo e il masochismo e la devianza sessuale. I’m Waiting for the Man descrive gli sforzi di un uomo per ottenere eroina, mentre Venus in Furs è un’interpretazione quasi letterale del romanzo del XIX secolo con lo stesso nome, che tratta di BDSM, Heroin descrive l’esperienza dell’abuso di droga. La discesa infernale delle tematiche è inesorabile, dal primo all’ultimo pezzo. Reed non avrebbe voluto scrivere quei testi dal materiale rivoluzionario, fu spinto da Andy Warhol a farlo, a creare una realtà inaccettabile. La stessa produzione fu libera e slegata dal professionismo, coerentemente con lo spirito dell’arte di Warhol, che in studio si limitava a dire “oh, questo mi piace”, senza sapere nulla riguardo alle tecniche di produzione musicale. L’idea di Warhol era che chiunque poteva fare qualsiasi cosa, che Lou Reed e John Cale potevano utilizzare sonorità distorte con trame sonore squilibrate, ripetizioni stridenti, feedback improvvisi e armonie prolungate e che lui potesse produrre un album partendo solo dalla sua idea, dal concetto di un album, privo di tecnica.
Precedentemente all’uscita dell’album, nel Gennaio 1966 i Velvet underground si esibiscono per la prima volta sponsorizzati da Warhol al “Delmonico’s”, un lussuoso Hotel di Manhattan. Andy era stato invitato a tenere un discorso alla Società di Psichiatria Clinica di New York. Non parlò e mise in scena i Velvet Underground. Suonarono Heroin ad un pubblico di psichiatri, stupefatti e assolutamente contrariati, mentre sullo schermo in sfondo fu proiettato il film di un uomo legato a una sedia e torturato. Questa è l’arte pop, la realtà che sta dietro al successo mondiale di questo album, la libertà assoluta, la rivoluzione del concetto di arte, la culla della musica punk, new wave e rock alternativo.