Intervista a Postino: tra canzoni di provincia e cantautorato

foto in copertina: Camilla Sofia Perego

di Miriam Viscusi

Postino è autentico e timido, dice di essere un “cantautore da cameretta” e vorrebbe scrivere i suoi testi come fa Brunori. Definisce i Millennial i “figli di mezzo della Storia” e quando torna dai concerti (suoi) va a fare i turni di notte come medico.

L’avventura musicale che gli è “esplosa tra le mani” neanche un anno fa lo sta portando nei più famosi club italiani. Con tutto il suo accento toscano ci ha raccontato della malinconia positiva da provincia, dei disagi di questa generazione e della musica di oggi che ha bisogno di parole nuove.

Ambra era nuda. Dice a proposito del video: «Sono filmini degli anni ‘90 ritrovati da mia madre. Il video non ricalca il testo ma fa un parallelismo sulla nostalgia (sia per Ambra che per il passato) tra la spensieratezza dell’infanzia e quella di una storia finita.»

Di te sappiamo che sei toscano e hai studiato medicina.  Ci parli di te prima della musica e di come questa cosa è successa?

Sono di Vinci, che è conosciuto solo per essere il paese di Leonardo, a mezz’ora da Firenze. Confina con Empoli che è stato il centro della mia vita finora. È un po’ triste, la classica cittadina medio-piccola con una discoteca di numero e qualche pub. Tutto quello che descrivo e che ho fatto è sicuramente dato da dove ho vissuto, cioè da quella provincia.
Credo che lo stare in provincia renda malinconici però in un senso positivo: ti sprona a cercare di fare o essere qualcosa in più.
Una parentesi positiva è stata l’anno di Erasmus a Malaga: dopo tanti anni ero circondato da stimoli nuovi e mi è sembrato di aprire gli occhi e iniziare a vivere in modo diverso. Quando sono tornato avevo più voglia di fare, non mi adagiavo sulla passività e il grigiore della provincia.

Tutte quelle canzoni che avevo scritto dai 17 anni e durante gli anni dell’università stavano prendendo sempre più forma. Una volta laureato ho chiesto come regalo ai miei, da sempre appassionati di musica, di poter registrare le canzoni che avevo scritto. Loro le conoscevano già, perché in casa le facevo sentire, e mi hanno appoggiato. Sono andato a informarmi da Labella Dischi perché era vicino casa, tra Empoli e Firenze. Volevo solo fare un disco chitarra e voce da regalare ai miei amici, ma all’etichetta i miei pezzi sono piaciuti particolarmente e mi hanno proposto un progetto più serio. Questo significava fare un investimento: ho coinvolto la mia famiglia e mi hanno aiutato a finanziare il progetto (con una cena-raccolta fondi).
Poi abbiamo iniziato a registrare i pezzi, fare gli arrangiamenti… A marzo abbiamo messo online Blu e quello che era incerto, fumoso, fatto a caso è diventato altro: la situazione mi è esplosa fra le mani, nel giro di dieci giorni ero quarto in top50 Viral di Spotify. Lì ho capito che quello nato per gioco e per passatempo (nella vita faccio tutt’altro: lavoro come medico)  si stava evolvendo.

Il nome Postino: da dove viene? Per te Postino e Samuele sono la stessa persona o sono complementari?

Quella del nome è una storia personale che risale alla mia infanzia, è molto banale. Sono più interessanti le teorie che le persone ci costruiscono sopra. Le due più comuni sono che mi chiamo così in quanto portatore di messaggi, porto emozioni come il postino porta lettere. E tutti e due entriamo nelle case. Un’altra mi associa al film di Troisi, ma posso dire che è fuori strada.
Io, Samuele, parlo di Postino in terza persona come qualcosa fuori da me. Per quanto io cerchi di dissociarli, Postino corrisponde a Samuele, solo che il primo è rimasto nella cameretta invece il secondo si è messo in pasto al grande pubblico con il rischio di farsi danneggiare. Postino è alter ego e scudo per la mia profonda timidezza.

Adesso come vivi i live? Sei più tranquillo rispetto all’inizio?

Pensa che prima di Blu non avevo mai suonato in pubblico. Ad aprile, al primo live, con 200-300 persone davanti…è stato spiazzante, disorientante. Però una volta iniziato a entrare nel meccanismo, anche se ancora non mi è passata del tutto (è ancora difficile per me, essendo una persona timida, stare al centro dell’attenzione sul palco), me la sto vivendo meglio. Ho meno ansia e mi sento più sicuro grazie alle tante prove che abbiamo fatto in studio. Comunque non mi sento un frontman che spacca un palco: credo che il mio sia un live introspettivo. Introduco  le canzoni , racconto parti di me.  E vedo che la gente si emoziona.


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Vorresti essere un medico che fa musica nel tempo libero o pensi che si potrebbe spostare l’equilibro e che farai musica a tempo pieno?

Sulla professione medica ho investito tanto tempo, mi piace e vorrei fare quello, sarebbe un peccato abbandonarla. D’altra parte c’è questa cosa della musica che mai avrei sognato. Quello che mi sta accadendo non era nei miei piani: sarei felice se domani Postino diventasse un progetto più grande, ma non la prenderei troppo male se finisse.
Fare entrambe le cose sarebbe l’ideale ma so che è difficile: già ora lavorando di notte e stando contemporaneamente in tour, dormo poco.

Come compromesso hai mai pensato che potresti scrivere testi per altri, prima o poi?

Sì! È una delle mie prime aspirazioni rispetto al mondo della musica. Vorrei diventare autore così potrei conciliare lavoro da medico e musica e anche perché potrei benissimo scoprire che mi piace di più stare dietro le quinte. Ora è presto per decidere, aspetto di scoprire come si evolverà il futuro: la specialistica di medicina, il tour, il riscontro che avrò dal pubblico.

La primissima canzone che hai scritto?

Rap. Avevo 15-16 anni, parlava di una storia finita ma non era granchè a parte il ritornello bellino. Per il resto scrivevo cose ironiche prendendo in giro i miei amici. La prima cosa seria che ho scritto era a 18 anni: la ritengo attuale per scrittura e pensiero, quasi come se fosse venuta dal me di ora. Infatti uscirà come singolo nel 2019.

La prima del disco, la più vecchia che c’è, è Anna ha vent’anni. È un pezzo autobiografico raccontavo il periodo che stavo attraversando. Canzone specchio di un passaggio generazionale, di una crisi esistenziale che tutti penso vivano a quell’età. Poi passa, ma tanto ce ne sono altre in agguato. Come ho detto a Milano in uno degli ultimi live: le crisi non finiscono mai, fanno dei giri immensi e poi ritornano. È una canzone sui vent’anni in generale, non su quelli di una generazione specifica ma alla fine parla di più di quelli nati dagli anni ‘90 in poi. Con il titolo faccio riferimento a mia nonna (si chiama Anna) per contrapporre la sua situazione: sessant’anni fa, quando lei aveva vent’anni, aveva problemi totalmente diversi da quelli dei ventenni di oggi. Non aveva il tempo di pensare a tutte le crisi esistenziali: pensava a sopravvivere.  Noi siamo i “figli di mezzo della storia”: da una parte la Grande Depressione e dall’altra lusso e tranquillità. Siamo nel mezzo e perciò viviamo il dissidio interiore. In mezzo a due poli, senza aver vissuto le vere grandi depressioni, da un lato cerchiamo di preservarci e dall’altro di autodistruggerci. Il titolo dell’album “Latte di soia” viene proprio da questa considerazione:  è un simbolo di questi tempi e della voglia di preservarci in salute. Si contrappone all’alcol il venerdi sera che indica la voglia di distruggerci.

Da ascoltatore: dopo il rap ci sono state altre fasi? La musica che ascolti ora è più simile a quella che fai? Ti abbiamo descritto come “un misto tra Lucio Battisti e i Canova”. Poi c’è anche chi ti ha paragonato a Cremonini, o a Gazzelle.  Ti riconosci in questa descrizione? Senti che ti hanno più o meno influenzato?

Per quanto riguarda il cantautorato italiano mi sono ispirato più a Dalla e Battiato che a Battisti. Infatti Fuori dalla disco è un omaggio a Disperato erotico stomp. Dopo il rap ascoltavo i vinili che c’erano in casa, quelli di mia madre. Poi sono passato ai cantautori moderni, come Niccolò Fabi ma soprattutto Brunori. Penso che nel panorama attuale nessuno sia paragonabile a lui: dalla condizione umana alla politica all’immigrazione non è mai banale nei temi.

Secondo te, in questi tempi “di crisi” è importante per la musica parlare di attualità e schierarsi, dando un messaggio di attivismo? Cosa può fare la musica? E può farlo anche parlando di cose personali?

Siamo figli della “musica da cameretta”, che parla solo di esperienze individuali e personali, perché quello che abbiamo intorno ci disorienta. La realtà è sconcertante, non abbiamo stimoli e ci sentiamo disillusi. Non abbiamo più i grandi movimenti, le grandi rivolte. Non abbiamo un credo politico vero e nessuno che ci rispecchi o in cui rispecchiarsi. Guardandosi intorno uno pensa: “Di cosa parlo dell’attualità? Fa tutto schifo”. È difficile. Nonostante questo, penso si debba iniziare a riportare le proprie idee nella musica, anche se sono utopiche. Secondo me c’è il bisogno di tornare a parlare. Per sensibilizzare di nuovo le persone ad interessarsi e a non accettare passivamente “lo schifo”.

Vorrei avere i contenuti dei cantautori, dell’indie mi piacciono le sonorità ma penso sia un po’ povero nei testi: parla sempre delle stesse cose. “Il pop di plastica” e le canzonette d’amore vanno bene, è l’amore a ispirare più di tutto, ma senza cadere nel banale. Ogni tanto c’è anche bisogno di parlare di altro come facevano i vecchi cantautori.
Io vorrei andare in quella direzione, più che essere associato alla “scena indie” mi piacerebbe essere più impegnato, andare verso un attivismo e parlare di temi seri. Non per forza politica, ad esempio mi interessa la filosofia: parlare dell’uomo in quanto uomo. Far pensare, con le mie canzoni, a come siamo fatti dentro noi uomini, tra irrazionalità e caos.

Due domande sui testi. Qualcuno ha letto in Miope un riferimento a Un matto di De Andrè. È vero? E invece, il “cuore blu” di cui parli si riferisce  al “blue” con significato inglese di triste oppure c’è una spiegazione medica?

Miope in verità l’ho scritta dopo aver letto “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello. La canzone è riprende l’ultima pagina del libro: quello stato dissociativo del proprio io in cui ci si immedesima con la natura. “La vita non conclude” lo ha detto Pirandello, non io. Ho giocato con il discorso del miope e il concetto di normalità.
La miopia si verifica quando non accettiamo “altri stati di normalità” e crediamo che quello che vediamo noi sia l’unica visione possibile. Nei reparti di psichiatria mi sono accorto che nessuno prova mai a immedesimarsi nei pazienti: capire come mai loro vedano una realtà così distorta. Magari vedono qualcosa che noi – i cosiddetti normali – non riusciamo a vedere. In quel caso i miopi siamo noi, perché non vediamo oltre la realtà. Infatti il paziente del testo accusa i dottori di essere miopi.

In Blu si tratta di un discorso medico: il sangue deossigenato è blu in quanto carente di emoglobina e al cuore nella canzone mancava l’aria perché stava soffrendo.

Postino è attualmente in tour, qui le date (in aggiornamento):


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