“Tormentone”: Scarda parla del suo nuovo album

 di Maddalena Esposito

Abbiamo incontrato Scarda che ci racconta del suo nuovo album “Tormentone” con Bianca Dischi.

Partiamo dalla copertina: in quella del tuo album precedente c’era un forte senso di vintage, che si percepiva dalla cinquecento d’epoca. La copertina di “Tormentone”, invece, ritrae te: c’è un motivo dietro tutto questo? L’ispirazione per i testi è nata da una volontà di raccontare te stesso piuttosto che storie?

Sì, la decisione riguardo la copertina è dettata dal fatto che le cose che racconto in questo album sono molto personali e soprattutto il nome vuole essere un gioco di parole: Tormentone sta per il tormento interiore che ognuna di queste canzoni rappresenta. Ognuna di esse affronta l’argomento amore quasi sempre dal punto di una perdita.

Rispetto a “I Piedi sul Cruscotto” si sente un passaggio da suoni acustici e prevalenza di chitarre a tastiere e suoni elettronici. Come si sta evolvendo il tuo stile? Quali sono state le tue influenze in questo nuovo album?

Era un’esigenza personale, avevo voglia di affrontare suoni nuovi. Poi un po’, lo ammetto, ho guardato le tendenza del momento e ho messo qualche sintetizzatore in più.
È stata una evoluzione iniziata in studio e siccome era la prima volta che mi approcciavo a questi suoni, c’è stato un lavoro di scelta e di studio: io e Nicola Amati abbiamo dovuto prima imparare ad usare alcune cose, alcuni sintetizzatori, per poi effettivamente usarli.

Credi di aver trovato la tua identità artistica con questo nuovo disco?

Io credo di sì, perché credo che in questo momento il mio disco somiglia a tutto e somiglia a niente, ha un sound suo. Ha trovato una sua identità. È l’espressione di me in questo momento.

Sui social, parlando della prossima uscita dell’album dicevi che “sarà forte“. Cosa intendi? Cosa significa per te il concetto di forte?

Specifico che lo dico sulla base di alcuni commenti che ho ricevuto, sarebbe stato molto autoreferenziale il contrario.
In sostanza, io cerco di toccare delle corde all’interno delle persone, di creare una cassa di risonanza e fargli pensare “ecco io quella volta avevo provato esattamente questa cosa qua, se dovessi cercare delle parole sarebbero queste“. A me piace quando io provo questa sensazione ascoltando musica e cerco di fare proprio questo: dare delle parole alle sensazioni forti che si provano.

Gran parte delle canzoni dell’album parlano d’amore. Cos’è per te la canzone d’amore? Come la definiresti?

Sicuramente è l’argomento più trattato, perché lascia impallidire tutto il resto, ed è per questo che la produzione di canzoni d’amore è così sconfinata. Perché annulla tutti gli altri pensieri, l’ispirazione viene da lì ed è di questo che si vuole parlare e che si vuole ascoltare. Io comunque in tutto questo cerco di metterci della poesia, cerco di trovare il lato poetico e di dare una sensazione.
Quando qualcuno mi ascolta e soffre, io sono contento.
Non per sadismo, ma perché il mio tentativo è sempre quello di fare male, di colpire in maniera forte.

Come vivi tu le sofferenze d’amore?

Soffrire per amore è ambivalente: fa male ma ti fa sentire vivo, allo stesso tempo. Anche Brunori lo dice: il dolore serve a rinascere, dal dolore nasce la bellezza. Io stesso ho iniziato a scrivere sulla scia del dolore, di una esigenza di catarsi di ciò che avevo dentro.
Il dolore quando c’è bisogna viverlo fino in fondo, stare al tappeto finché c’è da stare al tappeto ma l’importante è rialzarsi, una volta consapevoli di aver vissuto per bene il dolore.
Certe volte ripensi col sorriso al periodo in cui soffrivi, certe altre torni triste. E questo solitamente è sintomo del fatto che non l’hai superato e non provi più niente, sei come annientato. Ed è questo il grande rischio, vivi come anestetizzato.

In Sorriso canti: “penso che in fondo la vita e la morte siano due facce della stessa sorte/ ci abituiamo a vederle più spesso ma quando è ora soffriamo lo stesso.”
Che valore ha per te la perdita? Come la affronti?

Ti dirò una banalità: attraverso la perdita capisci quello che avevi. È un processo di dolore che, sì, diventa più sopportabile col tempo, ma attraverso il quale si capisce il reale valore delle cose.

In Ventanni si percepisce la sensazione di essere in bilico tra l’incertezza del futuro e l’inconsistenza del presente. Hai nostalgia per quel periodo della tua vita? Come lo hai vissuto o lo stai ancora vivendo?

Vent’anni è l’unica canzone che parla di un altro argomento. Molte persone a ventanni preferiscono non seguire le proprie aspirazioni, i propri sogni. La società un pochino ti impone di non farlo, ti dice di andare sul sicuro. La verità è che di sicuro non c’è nulla e il rischio è di rimanere col rimorso per non averci provato.
Questa è una canzone che non vuole giudicare e vuole essere una pacca sulla spalla.

Chiudiamo con la mia canzone preferita dell’album: Non Relazione. Secondo te possiamo considerarla una canzone generazionale?

Ti rispondo sulla base della percezione che ho avuto in questi giorni: ho notato che tra i singoli è stato quello che sta andando meglio ed ho scoperto che è una canzone che parla di tante persone.
Questa canzone nasce da un articolo che ho letto e si alle teorie di Baumann in “Amore liquido”: oggi le relazioni sono così, sono l’espressione del periodo attuale.
Quindi, sì, può darsi che, intenzionalmente o meno, io abbia scritto una canzone generazionale.