Recensioni Fuori Tempo Massimo: Radiohead – “Ok Computer”


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Giovanni Colaneri

All’interno di un gruppo musicale, la ricerca del “suono giusto” non ha mai termine. Per la creazione di un’opera musicale è necessario molto lavoro, una cui buona parte risiede esclusivamente nella ricerca delle sonorità, degli strumenti, dell’output del gruppo, ciò che più conta ai fini del successo. Questo i Radiohead lo sapevano bene, poiché pur avendo tradotto questa difficoltà universale di esprimersi in un lavoro costante di miglioramento, avevano quasi “sparato via” il loro frettoloso lavoro con “The Bends”, secondo album in studio del gruppo, “frettoloso” per via delle pressioni dell’etichetta discografica. Se potessi vedere la faccia di un fan dei Radiohead che legge queste righe vedrei probabilmente un’espressione sconvolta: Si, The bends ha segnato un punto di svolta per il gruppo, che uscendo dall’epoca “Creep”, ha costruito il trampolino di lancio che li avrebbe catapultati lontani dalle sonorità della loro hit più amata, ma è stato così rapido e d’impatto, con la sua originalità, che fu come “sparare” al pubblico.

Ok Computer, il terzo album in studio del gruppo esce nel 1997, il 21 maggio; Il gruppo ha avuto l’opportunità di autoprodursi il lavoro con l’aiuto del “sesto membro” Nigel Godrich ed era libero dalle scadenze che un’etichetta gli avrebbe imposto. Eppure, “stavamo diventando matti” erano parole frequentemente ripetute agli intervistatori da parte del frontman Tom Yorke, che ora si lamentava esattamente del problema contrario a quello di The bends: “La lavorazione di questo disco ci ha preso un sacco di dannato tempo”. Avevano speso una gran percentuale dei centomila dollari che l’etichetta aveva disposto loro esclusivamente per la strumentazione, avevano a disposizione tutto il necessario per porre fine a quella ricerca che li avrebbe resi una delle rock-band dal sound più particolare e visionario del decennio. Ma quali furono i concetti che dovevano trasparire e che, quindi, motivavano tutto il lavoro?

Il suono di OK Computer ha subito stabilito le distanze da quello dei loro colleghi britannici. Studiosi attenti di krautrock, hanno rimesso mano sui sintetizzatori sfruttando al massimo le potenzialità tecniche dello studio di registrazione e del produttore, manipolando il suono a loro piacere, come avevano fatto i Beatles al loro apice creativo. “Paranoid Android”, è il secondo brano ed è ispirato dal bizzarro Marvin, personaggio robot di” Guida Galattica per gli Autostoppisti” di Douglas Adams (libro che ha molto ispirato il frontman). Questo brano, fra i primi del disco, ha iniziato a squarciare il velo e ha lasciato passare la fredda e fastidiosa luce della modernità, risvegliando la società occidentale, sussurrandole che il futuro è arrivato e non è così strabiliante come era stato immaginato. Ok Computer descrive una società che per la prima volta si è accorta di essere arrivata agli anni 2000, immaginati come gli anni delle macchine volanti e della fine del mondo. Ci stiamo “integrando con la macchina”, stiamo diventando come il protagonista di Karma Police, stiamo ronzando come un frigorifero e stiamo iniziando a parlare come robot. La Band condanna una società che ha scoperto l’alienazione, l’isolamento e la fine del concetto di comunità, una società che si è ritrovata improvvisamente sola in una stanza costretta ad affrontare la complessità del mondo globalizzato e tecnologico. Non è distopia quella dei Radiohead, non hanno descritto un futuro orwelliano (nonostante si tratti di un mondo molto caro sempre al frontman) ma un presente cupo e minaccioso, non privo però di sana e lirica malinconia, che trova spazio in ballate come No Surprises e Lucky.

L’album entrò di diritto nelle classifiche come pietra miliare, come rappresentante di una generazione, di un genere musicale, di un decennio. Rimane attuale in una maniera sconvolgente, nonostante quel sapore di estetica anni ’80 che non lo abbandonerà mai.