L’abbiccì dell’architettura: Motta / TA.R.I-Architects


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di Claudia Casali

Sono davanti a un bivio. Prima o poi sapevo sarebbe arrivato questo momento ma forse per pigrizia, o per mancanza di coraggio, ho posticipato per troppo tempo la fatidica decisione.
In questo caso le possibilità sono semplicemente due:  scegliere la strada sbagliata o quella sbagliata. La scelta è difficile: bisogna far luce sui propri sentimenti, seguire l’istinto, analizzare con calma e lucidità quello che veramente desideriamo.

“Vivere o morire” è quel bivio da superare.
Possiamo scegliere di diventare semplici turisti della vita oppure suoi veri fautori.
Perdere il controllo, lasciarsi andare, innamorarsi, cadere e rialzarsi. Motta si racconta a cuore aperto.
Nove tracce e un diario di bordo di un uomo che ha bisogno di far sentire la propria voce, che ha bisogno di ricordare che, nonostante il caos, si può essere felici. Ed è quasi come essere felici nella giungla in cui viviamo. Una giungla di suoni elettronici e tribali, cupi e ipnotici che lasciano spazio a emozioni contrastanti e forti.  

Fiducia, sincerità e onestà sono alla base di un rapporto tra due persone.
La richiesta di mettere da parte il passato, senza troppe pretese, pensando solamente a Quello che siamo diventati. La tranquillità di chi una decisione l’ha presa nonostante tutto, vivendo al massimo ogni situazione pur riconoscendo però sempre i propri limiti. Semplicemente Vivere o morire, tuffandosi nella mischia o restando tranquillamente in disparte.

“La fine dei vent’anni” è ormai passata. La crescita personale di Francesco Motta si riflette nei suoi testi, nelle sonorità sempre decise e innovative ma molto più delicate rispetto i lavori precedenti.
La sofferenza della fine di una storia d’amore viene affrontata con maestria e delicatezza. La nostra ultima canzone è forse l’addio più bello che si possa ricevere. La banalità non è di casa, i sentimenti sono veri, le parole e le melodie sono calibrate per suscitare forti emozioni. È difficile quindi rimanere indifferenti e non fermarsi a pensare. Pensare ai nostri errori, alle nostre paure, alle nostre storie passate che ancora ci tormentano, anche se non vogliamo ammetterlo.
Chissà dove sarai è schietta e diretta e la sua intima malinconia è perfetta per far sciogliere anche quei cuori che si credono più forti. I violini, la voce decisa, un testo che sembra esser stato scritto apposta per te, rendono la traccia una delle più emotive del disco.

Sperimentare, mescolare suoni tra loro distanti e ottenere comunque ottimi risultati. Come Per amore e basta che è un perfetto eclettismo sonoro. L’amore che viene raccontato con le sue mille sfaccettature e in tutte le sue fasi.
Come la nascita di un nuovo sentimento, di una nuova storia. Come La prima volta in un nuovo rapporto. Quando i segreti altrui sono ancora da scoprire, quando si vive nell’incertezza di come tutto potrà finire, quando le paure lasciano spazio al semplice sentimento dell’amore. La prima volta è indubbiamente uno dei pezzi più teneri dell’album, la cui produzione è stata affidata a Riccardo Sinigallia, produttore del primo disco.

La collaborazione con Taketo Gohara è quel quid in più che impreziosisce l’album.
E poi ci pensi un po’ è un dialogo interiore che smorza la malinconia delle tracce precedenti con suoni del tutto inaspettati, che richiamano il Sud America.
Suoni veri, sinceri, puri. Come i sentimenti che proviamo per le persone che amiamo. Mi parli di te è l’epilogo perfetto per l’album. Archi e delicate melodie accompagnano un testo che è un colpo allo stomaco. La fragilità dell’artista che sembra aver trovato quelle parole che nell’arco della tua vita non sei mai riuscito a trovare, la verità dell’evoluzione di un rapporto padre-figlio che il tempo e le circostanze modificano, la forza ed il coraggio di accettare il capovolgimento dei ruoli.
E così, con una delicatissima dedica al padre, si arriva alla fine del disco.

L’evoluzione dei rapporti è quindi sempre difficile da gestire. Ogni singola relazione affettiva che intraprendiamo è soggetta infatti a modificazioni. Bisogna sapersi reinventare, accettare i cambiamenti, trovare il giusto equilibrio. Affrontare così una collaborazione sentimentale che permette di gestire al meglio il rapporto.

E chi ne sa veramente qualcosa di come si collabora dal punto di vista sentimentale e lavorativo sono due giovani architetti italiani. La coppia formata da Marco Tanzilli e Claudia Ricciardi farà parlare moltissimo di loro. Con il loro TA.R.I-Architects lo studio romano si è aggiudicato il primo premio nel concorso indetto dal Ministero delle Infrastrutture russo.


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DIVERcity è il progetto vincitore: un masterplan di un’area di oltre 3 ettari, un quartiere che porta al centro della progettazione le persone. La volontà di dire addio a un’omologazione progressiva e di rendere la progettazione residenziale un vero e proprio disegno su misura per il singolo cittadino. La diversità diventa quindi l’obiettivo di un nuovo insediamento urbano. Dire addio alle vecchie architetture del passato russe e spogliare i singoli edifici per renderli il più vicino possibile al singolo abitante.


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E se la volontà di Claudia e Marco di spogliare l’architettura russa da tutta una serie di artifici architettonici che non sono più in linea con la le esigenze attuali della popolazione è stata vincente, lo sarà anche nei rapporti umani.

Bisogna spogliarsi da tutti gli errori, le paure e le inquietudini.
Solo così riusciremo a sentirci bene con noi stessi. Solo così riusciremo a sentirci bene con gli altri.

ci togliamo i vestiti
davanti a tutto quello che siamo diventati” 

Motta – Quello che siamo diventati