Il report e le foto del live di Bianco al Monk (Roma – 24/02/18)


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di Patrizia Migale

“30, 40, 50, 60 anni…ma quand’è che si smette di fare danni?”

È sulle note di 30 40 50 che Alberto Bianco, in arte Bianco, apre il suo live al Monk lo scorso 24 febbraio. Lo stesso brano che apre il suo nuovo album “Quattro”, uscito il 19 gennaio per INRI, a distanza di 3 anni dall’ultimo “Guardare per aria”. Un disco che non ha disatteso le aspettative dei più e forse confuso chi ancora non aveva ben chiaro il suo stile. Ma Bianco conferma che i nuovi pezzi, scritti tutti sull’isola di Ortigia al largo di Siracusa, sono quelli in cui sente di aver espresso al meglio la sua musica.

L’ascolto in cuffia della sua ultima fatica ci aveva già dato qualche indizio sulla nuova direzione intrapresa dall’artista torinese. E il live ce lo conferma. La dimensione intimista da club tipica del suo cantautorato (pensiamo ai vecchi live a Na cosetta o a Le Mura) ha lasciato il posto ad una band da palcoscenico che ormai è cresciuta, merito anche dei due anni di tour a fianco di Niccolo Fabi, ed ora rivendica spazi più grandi dove poter far risuonare un po’ di tastiere anni 80 come quelle di Punk rock con le ali. Un pezzo la cui frenesia ricorda proprio quella di alcuni vecchi brani riproposti nella seconda parte del concerto come Raccontami, risalente ai tempi del primo album “Nostalgina”, dove ci diceva che “le cose che fanno paura non possono essere belle”.


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Una band rinnovata che si imbatte in coretti inusuali per raccontarci di Marco, Paolo, Roberto… e altri ancora in Tutti gli uomini. Le nuove sonorità, che nel disco si fanno più articolate, non sacrificano però la purezza e la sincerità tipica dei suoi testi, che il pubblico romano conosce già a memoria. Ora è l’attenzione sugli altri al centro della sua poesia, canticchiata, ad esempio, in Filastrocca sui tetti di Ortigia dove l’occhio si posa su di un cane e sul bene che vuole al padrone. L’amicizia e il rapporto con gli altri vengono raccontati attraverso consigli che ci mettono in guardia “ti prego fai molta attenzione a chi ti dice ti voglio bene, tanto bene” come se l’amicizia fosse un valore da salvaguardare dagli amici stessi, oppure in prese di coscienza “in un attimo passerà tutto, le crisi servono a pensare, la soluzione è camminare” (In un attimo). Testi un po’ cresciuti dove si realizza ormai che “da grande non si può più esagerare, cadere senza farsi male”, ma questo non basta a fermarci dal voler “giocare a fare il grande”.


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Dopo aver interpretato i nuovi pezzi, forse è solo proponendo al pubblico brani di qualche anno fa come Mela e Corri corri, pezzi di cui tra l’altro esiste una versione con Levante, che il cerchio si chiude e si capisce che in realtà questo quarto album non è altro che la naturale evoluzione di un’artista che porta con sé insegnamenti nuovi e si sente libero. Libero di poter parlare di tante cose: di una Torino che è piccola di notte, di amori che non ti innalzano e, perché no, di fare brani lunghi quasi dieci minuti.

Ed è proprio sull’interpretazione di quest’ultimo brano che chiude il disco, Organo Amante, che sul palco di Bianco & band salgono, con un effetto sorpresa già preannunciato sul web, gli amici Pier Cortese, Roberto Angelini e Niccolò Fabi. Un tripudio di suoni ed energia che esplode all’improvviso sul palcoscenico, un’esibizione che lascia incantati e porta in un’altra dimensione. Tutto sommato è forse questo il momento in cui non ci si chiede più il perché il cantautore torinese abbia sentito l’esigenza di parlarci di uno dei valori più importanti per l’essere umano: l’amicizia.