Pasta & Tonno 02×10: Cosmo

di Michele Canarino

Durante il percorso da studente di ciascuno, sarà capitato più o meno a tutti di appassionarsi ad una materia in particolare. Io, fin da bambino, ho studiato avidamente l’inglese. Poi sono arrivate le scuole superiori e ho iniziato ad interessarmi all’economia aziendale, apparentemente uno degli argomenti più noiosi del mondo, insegnatami dal professore più vecchio d’Italia. Così, un po’ perché in queste temi ci sono nato e cresciuto, un po’ perché non avevo particolare bisogno di studiare, andavo benissimo nelle materie economiche. A questo punto, scegliere economia all’università era il passo successivo  di un cammino che avevo già programmato da tempo. Da fuorisede, però, le prospettive cambiano: hai tanti pensieri per la testa, una nuova città da esplorare e una dose di indipendenza che non avresti mai potuto immaginare.  Diciamo che, per un motivo o per un altro, l’economia che ho trovato all’università era un po’ diversa da come me la immaginavo. Il risultato è stata una graduale perdita di interesse che mi ha fatto prendere alla leggera delle materie che avrei potuto potenzialmente amare.

Fortunatamente, dato che il sistema italiano (triennale più specialistica) ti permette in pratica di resettare gli studi, dopo il triennio ho deciso che avrei dovuto impegnarmi un tantino in più e puntare ad alzare la media. Credo sia stato quello il momento in cui ho ripreso ad amare quello che facevo. Nei due anni della specialistica in economia mi sembra che ci si concentri su argomenti un po’ più attinenti alla realtà. Ho pensato spesso a questo dettaglio, ovvero a come ciò che studiamo ha o ha avuto un impatto diretto sulla realtà che ci circonda.

Ci sono state, allora, nuove materie universitarie che sono riuscite ad appassionarmi, che andavo a seguire con voglia, senza che il corso o lo studio mi pesasse in alcun modo. Una di queste è stata analisi di settore, utile ad analizzare dei settori economici in modo da coglierne più aspetti possibili. Grazie a questa corso, tra l’altro, ho scoperto un bel po’ di storie interessanti, come quella della Coca Cola che aveva cambiato ricetta, ma è tornata subito a quella originale perché la seconda non piaceva a nessuno. Oppure che i creatori di Adidas e Puma erano fratelli,  che la prima azienda a commercializzare delle scarpe da ginnastica da donna è stata la Reebok. Ancora, che gli smartphone non sono altro che il frutto della “fusione” tra i cellulari che usavamo una volta e i palmari, quegli oggetti che dovevano essere a metà tra un computer e un telefono, ma che finirono per essere nessuno dei due.  Questa storia in particolare mi ha colpito a tal punto che dovevo per forza approfondirla di più.

Ho scoperto che si tratta di un fenomeno economico chiamato “convergenza settoriale”. Succede che dei settori diversi e distanti tra loro convergono, formando un settore ibrido, nel quale competono imprese non correlate tra di loro. Ciò può succedere grazie ad un’innovazione tecnologica oppure perché i consumatori esprimono le loro preferenze cercando dei prodotti con più funzioni. Stiamo parlando di un processo che avviene continuamente, in una miriade di mercati, e sempre più velocemente. Un esempio recente è quello che ha investito il settore delle telecomunicazioni e dei media: Netflix, SkyGo, Infinity, sono tutti dei prodotti ibridi, che hanno la struttura di un servizio online, ma i contenuti di un canale televisivo, costringendo in questo modo la Rai e Mediaset a competere in un terreno fino a quel momento sconosciuto, appunto quello dei contenuti online. In economia, perciò, le cose possono fondersi, diventare fluide per poi ricomporsi, convergere verso un punto per poi separarsi. Che poi se ci pensate è quello che avviene di continuo anche nella musica.

Ecco, quando ho ascoltato per la prima volta Turbo, uno dei singoli di “Cosmotronic”, ho pensato proprio alla convergenza. Ho pensato al fatto che Cosmo sia uno dei pochi artisti italiani in grado di mettere insieme la musica elettronica da club e il cantato in italiano, due cose, fino a questo momento, spesso distanti per conformazione. Nei suoi lavori c’è un po’ di Battisti e un po’ di Dalla, c’è Jamie XX e ci sono i Moderat. Si posiziona in una parte del mercato in cui comanda Calcutta, ma anche in quella dove potrebbe esserci Paul Kalkbrenner. Suonerebbe bene sia al MiAmi che al Club2Club, un po’ come Liberato, ma con meno Napoli e più Ivrea. In definitiva, Cosmo gioca eccome con la convergenza, dato che ha fatto del mix di generi diversi il suo principale punto di forza, sapendo infilarsi in un posto vacante della musica italiana.

Cosmo in realtà si chiama Marco Jacopo Bianchi, è originario di Ivrea, e se non fosse così bravo a far ballare la gente, farebbe il professore di storia. “Cosmotronic” è il suo terzo lavoro da solista, seguito al successo de “L’ultima festa”, pubblicato sempre da 42Records. Questo suo ultimo album è un lavoro complesso, lungo e sfaccettato. Di fatto, Cosmo sceglie di pubblicare un doppio album nel momento in cui la musica si muove verso la brevità. Proprio quando la maggior parte degli artisti tende a pubblicare EP, singoli o al massimo degli album brevi, lui tira fuori 15 pezzi che durano tutti più di quattro minuti: più di un’ora e mezzo di musica in totale.

La prima parte di “Cosmotronic” può sembrare il semplice seguito de “L’ultima festa”. Ci sono i pezzi il cui il cantautorato si mischia all’elettronica, ma alla fine ci si rende conto che le differenze ci sono ed escono fuori con gli ascolti successivi al primo. Nel suo terzo album Cosmo si espone, sembra non avere paura di parlare dei problemi personali, delle paura e delle ansie che caratterizzano gli adulti di oggi. In Quando ho incontrato te, il pezzo migliore a mio parere, tratta apertamente di quella che sembra depressione, ma non in maniera cupa o triste: è piuttosto un messaggio di speranza, dato che ne parla come se fosse qualcosa di cui ci si dimenticherà in fretta, che passerà come un sabato qualunque. Tristan Zarra e Animali non mi hanno sorpreso eccessivamente, è piuttosto il lato malinconico che rende speciale quest’album, quella melodrammaticità che ti spinge a cantare il ritornello di tutto Tutto bene.

La seconda parte di “Cosmotronic” potrebbe invece fare bella figura al Berghain di Berlino. Cosmo ha sempre lavorato come produttore, tanto da rendere perfettamente riconoscibili i pezzi di sua fattura. In questo disco ha deciso di sbizzarrirsi, di far uscire il suo lato da clubber, tanto che da Ivrea Bangkok in poi il cantato quasi sparisce per fare spazio alle strumentali. A questo punto la domanda è: e se questa fosse la vera anima di Cosmo? I suoi live hanno dato quest’impressione fin dall’inizio, ai suoi concerti si va a far casino più che a cantare, le nuove date promettono di andare ancora di più in quella direzione, si parla di spettacoli di quattro o cinque ore, di cui buona parte occupate da dj set. L’album termina poi con Tu non sei tu, che pare essere un esercizio di stile, ma cela un messaggio più profondo, un po’ come tutto il lavoro.

Questa deve essere stata la grande scommessa di Cosmo. Avrebbe potuto accomodarsi, fare un album con qualche ritornello catchy, accaparrarsi quel pubblico che cerca nuovi artisti da idolatrare e brani da cantare sotto la doccia, portare un po’ di gente ai concerti e andare in qualche programma televisivo a farsi vedere. Ha scelto altro, ha scelto di andare in direzione contraria, di fare un album complicato, che forse farà storcere il naso a chi lo ha conosciuto con “L’ultima festa”. A prescindere dal successo che avrà questo lavoro, minore o maggiore di quanto ne ha avuto il precedente, Cosmo ci ha messo la faccia. Lo ha fatto in tutti i sensi, anche sulla copertina dell’album. Ha deciso di cantare sopra alla cassa dritta, di scrivere canzoni cupe, di fare un po’ il cazzo che gli pare.

Cosmo l’ho ascoltato per la prima volta in una di quelle classifiche che si fanno verso la metà dell’anno, per fare il recap di ciò che era uscito di interessante fino a quel punto. Ricordo che lo cercai perché l’autore di quell’articolo disse che gli ricordava i Justice. Ero in un periodo della mia vita piuttosto lineare, mi serviva qualcosa per svagare con la testa, qualcuno che mi dicesse che alla fine, sono tutte cazzate. Ora, a distanza di soli due anni, mi trovo in un momento di incertezza, in mezzo tra l’università e la vita lavorativa, pieno di punti interrogativi e di aspettative sul futuro. “Cosmotronic” ti fa fare delle domande, è innegabile, ma ti mette anche in condizione di individuare i punti fermi, le certezze. Mi ha fatto sentire compreso, capito, e lo ha fatto con i bassi a mille e i sintetizzatori a tutto spiano.

Grazie Cosmo, sarà una grande festa.