5 (+1) album internazionali da non perdere, sfuggiti alle classifiche di fine anno


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di Gabriele Naddeo

Quando un nuovo disco mi appassiona divento una persona insopportabile. Sento il bisogno estremo di parlarne, scriverne, inviare video, interminabili audio di whatsapp, emoji, pur di convincere qualcuno ad ascoltarlo. Il problema, me ne rendo conto per carità, è che la cosa succede abbastanza di frequente e potrebbe risultare stressante o addirittura incomprensibile a chi non passa, per esempio, il mese di dicembre a spulciare le listone di fine anno. Il fatto, purtroppo, è che io non sto tranquillo se non mi comporto in questo modo, dato che in fondo sono uno di quelli che passa il mese di dicembre a leggere le classifiche dei dischi. Che poi, a proposito di spulciare le listone, quest’anno mi sono divertito molto di più a leggere quelle degli altri, annotando gli artisti e album meno chiacchierati che mi ero perso per strada, piuttosto che a pubblicare una mia top 10/20/30/50 che sia. Ho pensato, allora, che magari avrebbe fatto piacere anche a voi recuperare cinque (più uno bonus) dischi stupendi usciti nel 2017, sfuggiti alla maggior parte delle classifiche di fine anno. Meritavano uno spazio adeguato e sono felice di parlarne qui su Talassa. Così poi magari qualcuno di voi li ascolta, io mi tranquillizzo e non rompo i coglioni, promesso. Almeno fino all’anno prossimo.

Omni – “Multi Task”

Mi sbaglierò, ma sembra che questo disco in Italia sia stato completamente ignorato. Non vi è piaciuto? A me il ritorno della band di Atlanta ha convinto eccome. Alle 11 tracce di “Multi Task” bastano 30 minuti scarsi per farvi girare la testa, grazie a una manciata di riff azzeccattissimi al servizio di un post-punk nevrotico e scarno.

 

Feist – “Pleasure”

Si può esplodere con eleganza? Vincere una corsa in slow motion e svuotarsi i polmoni nel bel mezzo della notte senza svegliare i vicini? Chiedetelo a Feist. Vale la pena aspettare 6 anni se poi s’inciampa nella fragile, pungente armonia di “Pleasure”.

 

 

Benjamin Clementine – “I Tell a Fly”

Mi interessano gli artisti coraggiosi, bizzarri, ambiziosi e difficili da inquadrare.  Benjamin Clementine fa abbondantemente parte del club. Dopo il fortunato esordio del 2015, l’artista londinese poteva replicare la formula vincente o prendere una strada completamente diversa. Ha scelto la seconda opzione, regalandoci un vulcano di alternative R&B, art pop, musica classica e poesia.

 

 

Hundred Waters – “Communicating”

L’ultimo album del terzetto di Gainesville, Florida, s’annida a metà strada tra l’angoscia e il sollievo, grazie a un’elettronica elegante, carica di una malinconia leggera a cui ci si affeziona alla svelta. Blanket Me è in qualche modo la summa di queste sensazioni agrodolci: è il dolore intimo che diventa litanìa ossessiva, violento grido liberatorio e poi, finalmente, quiete.

 

 

Princess Nokia – “1992 Deluxe”

Sì lo so, lo so, “1992 Deluxe” è una versione estesa di “1992” del 2016, ma mi sembra un ottimo pretesto per rimettere in mezzo quest’album, dichiararmi fan di Princess Nokia e, di conseguenza, avere il diritto inalienabile di citare le sue rime-slogan rigorosamente in capslock: WHO THAT IS, HOE? THAT GIRL IS A TOMBOY, THAT GIRL IS A TOMBOY! (Oh, poi se volete fare i precisini e questa versione deluxe non vi va giù in una classifica del 2017, in alternativa ascoltate “The Witch”, il gran bell’esordio dei Pumarosa, e non ne parliamo più).

 

 

Bonus: Palm – “Rock Island”

Il nuovo album dei Palm, “Rock Island”, uscirà il 9 febbraio 2018 e io sto contando i giorni che mancano. “Shadow Expert EP”, il 6-tracce che la band di Philadelphia ha fatto uscire nel 2017 in attesa del prossimo LP, mi ha stregato al primo ascolto. Walkie Talkie, primo singolo estratto dall’EP, è la mia canzone dell’anno. Loro, la band su cui ho più aspettative in vista del 2018. No, non sto descrivendo i Palm come la next big thing, ma lo sto pensando eccome.