Pasta & Tonno: 02×08 – Coma_Cose


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di Michele Canarino Pochi giorni fa ho letto un articolo che rispecchia esattamente l’obiettivo di questa rubrica: coinvolgere le persone. Quando iniziai a buttare giù delle righe per gli articoli, pensai subito alla necessità che le cose che scrivevo e raccontavo in prima persona, dovessero arrivare facilmente ai lettori. Quindi, quando leggo qualcosa, che sia una pagina del “Sole24Ore” o la recensione di una serie televisiva faccio sempre due ragionamenti: uno, quanto di quello che è stato scritto rispecchia il mio pensiero; due, quanto di quello che è stato scritto può servirmi in futuro. L’articolo che ho letto parlava della Provincia con la P maiuscola, e quello che ho letto ha tanto a che fare con me e con tanti altri ragazzi della mia età.

 

Negli ultimi mesi sto passando più tempo nel posto in cui sono cresciuto, la Basilicata. Se c’è una regione italiana che rispecchia il concetto di provincia, è proprio questa. Perfino il capoluogo è una cittadina minuscola. Nascere in provincia ha tanti vantaggi e altrettanti svantaggi anche se, soprattutto da ragazzo, prevalgono i secondi.

A partire dall’adolescenza ho fatto sempre più caso alle cose che ti vengono negate in un posto del genere. L’unico sport che si può praticare è il calcio, non che mi dispiaccia, anzi, ma non ho mai avuto la possibilità di tentare altro in maniera agonistica. Il posto meno distante per vedere un concerto che non sia di musica popolare è Salerno, il posto meno distante per vedere un concerto decente è Napoli. Il cinema più vicino è a un’ora di macchina. Le uniche opzioni che hai il sabato sera sono andare al bar o andare al bar di un paese vicino. Nei negozi di abbigliamento si vende la stessa identica roba, il che comporta che le tue scarpe potrebbero averle ai piedi altre dieci persone. Per non parlare poi della quasi totale assenza di un confronto dal punto di vista musicale o culturale, essendo questi temi piuttosto lontani dall’abitante medio di questo genere di posti.

Ecco, in tutto questo ci sono anche dei lati positivi. Non succede quasi mai nulla, non devi aver paura di tornare da solo a casa alle 5 di mattina, nel peggiore dei casi spaventi tua nonna che si è appena alzata. L’alcol costa poco e non hai mai bisogno di una scusa per bere, il solo fatto che il bar esiste è un valido motivo per prendere una birra. Ti conoscono tutti e tu conosci quasi tutti. Anche se sei solo, qualcuno con cui chiacchierare lo troverai sempre. Il traffico non esiste, se stai fermo per più di dieci secondi è perché qualcuno davanti a te si è fermato in mezzo alla strada a salutare qualcuno.

Questa brevissima lista di pro e di contro conferma che lati positivi e negativi si bilanciano sempre. Da quando ero un adolescente ad oggi, tante cose sono cambiate. Tante ne cambieranno nei prossimi dieci, ma non importa. Il tempo passato in Basilicata ultimamente, e in questo periodo della mia vita, mi ha fatto ragionare sulla contrapposizione tra provincia e città, e il tutto si è ridotto a una dualità: sicurezza/insicurezza.

 

Rimanere o andare via. Credo sia la domanda che ogni ragazzo nato in provincia almeno una volta si è posto. Rimanere in provincia vuol dire avere la propria famiglia accanto, gli amici di una vita sempre vicino, un lavoro tranquillo in un posto tranquillo. La provincia è la comfort zone, è un modo per stare sicuri. Andare via vuol dire sistemarsi in città, tra persone nuove, in un contesto totalmente diverso, a volte vuol dire essere soli in mezzo a milioni. Andare via vuol dire uscire dalla comfort zone, è un modo per misurarsi con il mondo. La risposta che ho iniziato a darmi io è che la scelta dipende da due cose: le ambizioni e la capacità di adattamento. L’ambizione ti porta a desiderare il confronto con persone e situazioni più grandi e difficili di quelle a cui si è abituati; la capacità di adattamento rende possibile lo spostamento, ti fa imparare un’altra lingua, ti fa assimilare altre consuetudini.

 

“Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e da te stesso non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx.”

Quando vidi per la prima volta Radiofreccia, film scritto da Luciano Ligabue, avevo poco meno di 17 anni. Ero in quel periodo della vita in cui non vedi l’ora di andare via e la frase che avete appena letto mi sembrava totalmente senza senso. A parte il fatto che non sapevo chi fosse Eddie Merckx, non immaginavo che scappare via da un paesino fosse così difficile. Nella mia testa bisognava solamente fare le valigie, farsi accompagnare alla fermata dell’autobus e partire. Non avevo messo in conto la famiglia, gli affetti, gli amici, la solitudine, la paura di fallire, l’ansia e un altro centinaio di cose che non sto qui a spiegarvi.

Otto anni dopo, ho realizzato che da un paese di tremila anime non si scappa, è qualcosa che hai dentro, ovunque tu sia. Il posto in cui sei nato è nel tuo modo di parlare, nel tuo modo di vestirti, è in quel senso di inadeguatezza che si prova nel confronto con chi ha la tua stessa età ma è cresciuto in città. Il modo in cui esprimi i tuoi sentimenti ne è influenzato, il modo in cui ti relazioni e la tua maniera di costruire i rapporti sono dovuti al posto in cui sei cresciuto. In un modo o nell’altro, quelle quattro strade diroccate dove scorrazzavi con la bicicletta a 10 anni, possono dirti tutto quello che sei.

Pensieri che forse non toccano mai chi è nato e cresciuto in città. Mentre ragionavo su questo avevo in cuffia i Coma_Cose e il ritornello di Deserto a un certo punto fa: “se abitassi qui capiresti”. Ecco, se veniste da dove vengo io, capireste.

 

I Coma_Cose sono un duo formato da Fausto Lama e California. Il primo ha una passato musicale con il nome di Edipo, la seconda fa anche la Dj, ma il destino ha voluto che si incontrassero a lavoro, mentre facevano entrambi i commessi. Questa è la prima cosa che mi è piaciuta del duo, il fatto che due artisti così talentuosi possano decidere di fare musica insieme tra gli scaffali di un negozio e che da questo esca un lavoro così innovativo, mi fa ben sperare nel futuro.

Fino ad oggi non è uscito tanto materiale dei Coma_Cose. È di poco più di un mese fa il loro primo EP, “Inverno Ticinese, composto da tre canzoni e accompagnato da altrettanti video. Prima dell’EP sono usciti altri quattro pezzi, tutti corredati di video e tutti aventi come sfondo Milano. Il primo dei singoli, Golgota, esce a Marzo 2017 e da lì ad oggi ancora non è previsto nessun album. Tutto ciò è dovuto al processo di produzione del duo, che in tutte le interviste ha affermato di fare musica senza nessuno schema sottostante: quando hanno voglia di scrivere, lo fanno.

Da Marzo ad oggi i pezzi però hanno fatto il giro del web. Il difficile posizionamento della musica dei Coma_Cose nel panorama italiano fa sì che in tanti se ne interessino. In una recente intervista a Talassa il duo lo ha definito “crossover”, che è un modo per dire di non appartenere alla recente scena trap/rap milanese. E in effetti, il loro lavoro è molto distante da quello di Ghali o della Dark Polo Gang.

 

 

Prima di tutto, le produzioni musicali. Fausto Lama ha ribadito che le strumentali sono affidate ai Mamakass, gruppo di giovani producer di Bergamo. Le produzioni sono uno dei tratti distintivi dei Coma_Cose: anche se le canzoni sono brevi, l’alternanza delle voci di Fausto e California è sottolineata da un cambiamento radicale della strumentale, come se ci fossero due canzoni in una. Il contrasto è un loro tema ricorrente, c’è contrasto anche a livello visivo tra i due, Fausto con la barba lunga e nera, California con i capelli corti e biondi. Inoltre, sono le strumentali a rendere quell’immagine asettica che il duo ha acquisito, definita come “gli ingressi dei palazzi di Milano di notte”.

Quello che però mi ha fatto innamorare dei Coma_Cose al primo ascolto sono le rime. La capacità che hanno di giocare con l’italiano non è cosa da tutti. Nei loro testi si sente da una parte l’influenza dei cantautori italiani anni ’80, dall’altra l’ispirazione dovuto ai nuovi cantautori italiani, i rapper. Nei Coma_Cose puoi trovarci gli Uochi Toki, per la cadenza che hanno le rime. Puoi sicuramente trovarci Dargen D’Amico, proprio per il modo in cui usano gli accenti per dare significati diversi alle parole, oppure per la maniera che hanno di modificare la struttura di alcune parole con il solo obiettivo di renderle funzionali alla musica che hanno in mente.

Infine ci sono i grandi del cantautorato italiano. Se uno dei pezzi meglio riusciti dei Coma_Cose si chiama Anima Lattina, qualcosa dovrà voler dire. In Deserto affermano che il loro rapper preferito è De Gregori, che viene ripreso anche in Pakistan con “dolce venere di rime”. In French Fries viene citato Celentano e la sua “Africa in giardino”.

Se però la costruzione del testo e il modo di cantarlo sono molto distanti da un certo cantautorato italiano, i Coma_Cose operano sullo stesso piano in una cosa: il racconto. La grande forza dei cantautori italiani degli anni ’70 e ’80 era il raccontare la vita di tutti i giorni e renderla emozionante. Fausto Lama e California fanno la stessa cosa, non c’è denuncia soiale, non trattano argomenti complicati nelle loro canzoni, scrivono di quello che vivono, riescono ad emozionare con le piccole cose.

 

I Coma_Cose però vengono davvero dal nulla, sono due fuorisede anche loro. Sono nati e cresciuti in provincia, sono andati a vivere a Milano e l’hanno resa lo sfondo della loro musica. Milano è ovunque, nei pezzi e nei video, nelle citazioni delle strade, delle piazze e dei Navigli. Milano è parte dei Coma_Cose, che in Italia non avrebbero trovato altro terreno fertile se non quello da cui sono emersi.

Ma Fausto e California vengono dalla provincia, ce l’hanno dentro. La provincia non la senti nella loro musica, è nell’attitudine che hanno, nella voglia di spaccare il mondo in due. Forse perché è l’unica strada che hanno, una volta che sei partito, indietro non si torna.

Grazie Coma_Cose, vi aspetto.