Pasta & Tonno: 02×07 – Ghemon


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Se sei uno studente fuorisede e vieni da un piccolo paese, come me, la maggior parte delle tue sere d’estate si svolge davanti al bar. Di norma, in un paesino, ce ne sono diversi, ma ce n’è solo uno con la “b” maiuscola. Quando ad un tuo amico dici: “Ci vediamo davanti al bar”, non c’è bisogno di specificare di quale dei tanti si tratta. Il bar è un punto di ritrovo, una specie di certezza quando si parla di una piccola realtà. Non c’è bisogno di darsi appuntamento con gli amici, già sai che saranno lì e che ti accoglieranno chiedendoti cosa vuoi da bere. Una delle tante variabili che influenzano le sere d’estate è la musica che viene passata all’interno del locale. Personalmente, preferisco dei generi tranquilli, che accompagnino la serata, riprodotti ad un volume accettabile, in modo da permettere la conversazione. Naturalmente, ci sono anche delle serate durante le quali c’è bisogno di sparare Cesare Cremonini a tutto volume e inscenare una sorta di karaoke senza supporto visivo.

 

Il barista è un altro punto cardine delle estati nei paesini. Una volta, un uomo saggio mi disse che i baristi sono i primi da cui ti devi far volere bene. Le compagnie vanno e vengono, i baristi spesso restano. Ad esempio, il mio barista di fiducia mi ha più volte chiesto di fare una raccolta di canzoni da poter passare nel suo bar. Io, naturalmente, non l’ho mai fatta. Ci ha pensato qualcun’altro. Più nello specifico, ci ha pensato mio fratello.

Mi sono accorto del fatto che al bar era cambiata la musica quando il giorno della festa patronale, in un momento di lucidità, mi sono reso conto che stava passando una canzone di Cosmo, seguita da LIBERATO e poi seguita dai Daft Punk. Concorderete con me che dalle solite playlist dei Nomadi a questi artisti qui è un bel salto. Troppo grande per non accorgersene.

Mentre passava una delle canzoni dell’artista napoletano, un mio amico mi ha chiesto chi fosse a cantarla, ho dovuto candidamente rispondere “Non lo so” mentre nella mia testa pensavo al fatto che, pur sapendo chi fosse l’artista o il collettivo di artisti, effettivamente non avevo (e non ho tuttora) idea di chi fosse a cantare. Tutto questo mi ha portato indietro nel tempo ancora una volta.

 

Quando nasci in un paesino e ascolti un certo tipo di musica, è difficile che i tuoi interessi e quelli dei tuoi amici convergano. Mi sono trovato spesso a dover quasi giustificare il fatto che la musica sul mio iPod fosse diversa rispetto a quella degli altri. Nel 2009 ascoltavo i Phoenix, i miei coetanei cantavano Vasco Rossi come se avessero scoperto il Sacro Graal. Molte volte mi è stato chiesto cosa stessi ascoltando e altrettante volte, dopo aver risposto, mi è stato detto: “ah? e chi sono?”. Con il passare degli anni, il fenomeno si è però affievolito. Non so il motivo preciso, ma sempre più gente ha iniziato ad interessarsi a un certo tipo di artisti. Sarà stata l’università, sarà stato l’avvento di Facebook e Spotify, ma da un po’ di anni a questa parte, riesco a parlare più liberamente di musica con le persone che conosco.

 

 

Vi lascio fare le gare

io mi sto per slegare

quella non è più roba mia.

Gianluca Picariello è un artista e viene Avellino. In un certo senso, la sua storia è anche la nostra. Un ragazzo irpino, appassionato di musica e di sport, magari frequentatore di un bar, che a un certo punto della sua vita si trasferisce a Roma per studiare. A Roma si laurea anche in Giurisprudenza. Curioso è che nel frattempo è diventato uno dei migliori rapper della scena italiana, con il nome di Ghemon (rubato al Goemon di “Lupin III”). In un certo senso, la sua storia è anche la mia, visto che condividiamo la passione morbosa per le sneakers, lo streetwear, per l’NBA e per “Game of Thrones”.

Non vi nascondo che quando si parla di Ghemon ho gli occhi un po’ lucidi, è uno dei miei autori preferiti. Il suo nome l’ho sempre associato a un aggettivo: la qualità. Da quando ha iniziato a fare musica si è mosso sul filo sottile che divide l’hip-hop e l’R&B, portando avanti l’etichetta di rapper consciuos. Tutto questo fino al 2014, quando ha svoltato fortemente sulla strada del soul.

Splende in Eterno, oltre ad essere uno dei miei pezzi del cuore, è stata la dichiarazione di indipendenza di Ghemon. La canzone non è presente in nessun album ufficiale, ma soltanto in un mixtape (“Embrionale”, del 2010) e in una raccolta di canzoni pubblicata alla fine del 2013, “Aspetta un minuto”. Quando dico dichiarazione di indipendenza, non intendo da indipendenza in termini di contratto, quasi tutti gli album di Ghemon sono usciti per MacroBeats, che è tutto fuorché una major. Indipendenza da due punti di vista: il primo è la scena, Ghemon sta dicendo che non ha più intenzione di competere nel panorama hip-hop italiano e che quella non è più roba sua, il tutto evidenziato anche dal fatto che sotto il pezzo non c’è un beat costruito ma una melodia suonata da strumenti veri; il secondo è il pubblico, Ghemon si sta slegando da un personaggio, da un genere, sta decidendo di non essere più l’artista di prima, conscio del fatto che questo cambiamento potrebbe non piacere a buona parte della sua fanbase. Indipendenza anche un po’ da se stesso, visto che  Gianluca ha perso pure una trentina di chili.

Ed eccoci arrivati al maggio del 2014, quando esce “ORCHIdee”, quarto album in studio dell’artista. Ghemon mantiene tutte le promesse fatte nel tempo, smette di rappare e abbandona i beat. Tutte le canzoni sono suonate con una band, non ci sono featuring ed è sempre fortemente presente il cantato vero e proprio. I pezzi iniziano a girare in radio, la critica apprezza e anche i fan della prima ora si rendono conto di quanto sia valido il lavoro. Intanto Gianluca ha trovato una ragazza. Sembra tutto ok.

 

In realtà non è proprio tutto ok. Lo stesso Ghemon ammette, in un’intervista al Corriere della Sera, di aver sofferto una forte depressione. Lo stesso problema che ha colpito Chris Cornell e Chester Bennington, lo stesso problema che ha colpito tantissimi artisti prima di lui. Nella stessa intervista dice di averla superata con l’aiuto di uno psichiatra (il padre della ex-ragazza) e prendendo dei farmaci.

Non è mai facile confidare pubblicamente un disturbo depressivo personale. L’opinione della maggior parte è lontana anni luce dal capire quanto sia difficile affrontare questa malattia. Ci si trova in imbarazzo anche solo a raccontarlo alle persone vicine. Ghemon ne parla apertamente, lo dice in un’intervista che comparirà su di uno dei giornali più letti in Italia.Tenendo conto dell’ambiente dal quale proviene, il rap, immaginate quanto coraggio ci è voluto per fare una cosa di questo tipo.

There’s a crack in every thing

that’s how the lght gets in.

C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce. Non so quante volte ho letto questa frase su Facebook, postata dai personaggi più improbabili. Un verso di Anthem, dell’immenso Leonard Cohen, scomparso poco meno di un anno fa. Ecco, io ho immaginato che il nuovo album di Ghemon, “Mezzanotte”, sia stato concepito così.

 

“Mezzanotte” esce il 22 settembre, apertamente dedicato al rapper Primo Brown e al giornalista Stefano Cuzzocrea. Il singolo che lo ha anticipato è Un Temporale e già dal primo assaggio si capisce qual è il punto di arrivo di questo lavoro.

In verità, il percorso che ha portato Ghemon a posizionarsi in cima alla lista degli artisti Soul italiani è iniziato con “ORCHIdee” che, nonostante il successo, è risultato un disco grezzo, sia a livello musicale che a livello vocale. Se sui testi non ci sono mai stati dubbi,  la voce di Gianluca doveva essere migliorata, studiata, e lo stesso è valso per l’accompagnamento musicale, non tanto in termini tecnici, quanto in capacità di essere al passo con quelle che erano le produzioni dello stesso genere nel resto del mondo.

I difetti esistono per essere corretti e “Mezzanotte” sembra un album molto più solido. In termini vocali, Gianluca è molto migliorato, sia per estensione che per adattamento al genere. In termini di produzione, c’è sempre Tommaso Colliva dietro al mixer, ma a differenza del lavoro precedente, a suonare gli strumenti c’è un’unica band per ogni pezzo del disco, cioè Le Forze del Bene. In ultimo, i testi. Ghemon è un’ottima penna, ma ha dovuto fronteggiare un ostacolo grande: cercare di adattare la lingua italiana a un genere che con l’italiano ha poco a che fare. Il soul è nato negli anni ’60 in America, nella parte nera dell’America, e pertanto è caratterizzato da un tappeto musicale che interagisce molto bene con l’inglese e molto male con altre lingue. Vi immaginate un pezzo soul in tedesco?

Qualche giorno fa, Ghemon ha inserito nelle sue IG stories gli artisti che ha ascoltato di più durante la stesura del disco, e che quindi in qualche modo sono stati una fonte di ispirazione. Tra gli altri c’erano Frank Ocean, Drake, Kendrick Lamar e Anderson .Paak. Tra questi, se l’ultimo sembra quello che ha influenzato di più le sonorità dell’album, nessuno ne ha potuto influenzare i testi, proprio perchè la nostra lingua non si presta particolarmente al genere. In questo Ghemon è stato molto bravo, nel riuscire a presentare un lavoro solido, scrivendo dei testi credibili, masticabili e assimilabili allo stesso tempo, senza mai scadere nel più becero pop o nel “ritornellarismo” italiano.

 

A Ghemon non si può non volere bene, io gliene voglio tanto. Ricordo ancora la sensazione che ho provato ascoltando E poi, all’improvviso, impazzire. Immaginate il 2009 in un paesino della Lucania e catapultateci dentro un rapper drammatico, pulito, innamorato, capace di spiegare e raccontare le proprie emozioni. Ricordo altrettanto bene cos’ho provato ascoltando Qualcosa è cambiato – Qualcosa cambierà, nel 2012, al mio primo anno di università. Quel disco era una coperta calda quando fuori era freddo, non so in quanti viaggi mi ha fatto compagnia.

Aspetta un minuto è stato il lucido e brillante addio a una parte della propria arte, con dentro un altro dei miei pezzi del cuore, Non Spegnermi.

Poi è arrivato “ORCHIdee”, ho personalmente storto un po’ il naso. Ma più scura della Mezzanotte non può essere, e così è stato.

Grazie Gianluca, bentornato.