“Il codice della bellezza”: Samuel (non) è uscito dal gruppo


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di Antonio Zarrelli foto di Manuela Cambio

Lo scorso 22 ottobre “Il codice della Bellezza” tour di Samuel ha fatto tappa  all’O2 Arena di Islington a Londra in collaborazione con  Tij events. La versione solista dell’artista torinese in compagnia degli amici Tozzo (Linea 77) e Ale Bavo (LNRipley) è stata insieme una scoperta e una conferma. Il ragazzo, che si congeda un anno dai Subsonica per sperimentare se stesso, scoprire e magari superare i propri limiti, e forse anche i propri dubbi, senza mai pensare di lasciare quella che è stata la sua casa per venti anni, ha raccontato sul palco l’amore, la bellezza, l’America, ma anche delusioni e qualche sofferenza. E lo ha fatto a modo suo, col cappello in testa, con la voce, le tastiere, l’ukulele e tutta l’energia che sprigionava dal palco dell’O2 Arena.

Prima del concerto abbiamo avuto modo di fare una chiacchierata che ci ha rivelato qualcosa di questo momento particolare nella carriera di Samuel.

T. Nel 2017 esce “Il codice della bellezza”. Ne segue un tour italiano e un minitour europeo. Come è un tour da solista?

S. È bello! Per me è molto bello, perché in qualche modo racconta il desiderio che avevo da ormai un po’ di anni di dar fondo alla mia creatività e andare a ricercare i miei confini. Poi, vedi, quando stai in un gruppo devi lavorare per sottrazione. È difficile dare il cento per cento di te. Devi per forza togliere delle cose per fare spazio agli altri. Poi gli altri lo fanno con te. Quindi rimangono tante cose non dette, inespresse. Tante piccole scintille che restano nascoste e senti l’esigenza e la voglia di tirarle fuori. Io purtroppo ho avuto un solo anno di tempo per fare questa cosa qui. A gennaio ricomincerò con i Subsonica, quindi ho dovuto in qualche modo calcare sull’acceleratore, creare un progetto che mi desse la possibilità di essere veloce, rapido. Però mi ha dato la grande possibilità di trovare i miei confini, i miei limiti e di testarmi. Mi ha fatto crescere tantissimo da un punto di vista professionale e personale. E poi è stato bello riuscire a trovare persone in tour che sono amici con cui abbiamo lo stesso feeling musicale. Uno è il batterista dei Linea 77, l’altro il tastierista produttore degli LNRipley, due gruppi di Torino con i quali abbiamo creato questo live molto coinvolgente che racconta oltre alla mia vitalità musicale anche la città da cui provengo.

T. Hai dichiarato che questo album, unendo un po’ il pop e l’elettronico, vuole raccontare  l’amore in molte sue sfaccettature, non solo quelle, come dire, più positive. C’è anche la rabbia e la noia. Qual è stata la tua chiave per decifrare questo codice?

S. In realtà è un codice che cambia sempre. Questo codice è un po’, come lo ho definito, un equilibrio interiore che le persone cercano di raggiungere. Ma vivendo e camminando per le strade impervie del mondo, questo equilibrio cambia continuamente, non si può mai pensare che sia sempre lo stesso. In questo momento il mio equilibrio è questo. Il fatto di avere avuto la fortuna di sperimentare su me stesso quello che ho già sperimentato per venti anni con i Subsonica. Non è una cosa che capita spesso ai cantanti che provengono da un gruppo. Farlo in questi termini, riuscendo anche in qualche modo ad andare ad aggiungere altre esperienze, è stato un colpo di fortuna.


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T. Un tour europeo. Nella tua carriera, anche con i Subsonica, hai avuto riscontro da un pubblico non prettamente italiano?

S. È difficile, perché noi italiani facciamo parte di un mercato molto ghettizzato. La nostra lingua si parla solo in Italia fondamentalmente. Tra l’altro gli italiani sono molto abili a imparare le altre lingue e culturalmente dal dopoguerra a oggi siamo stati colonizzati dagli altri. La musica italiana ormai è rappresentata in giro per il mondo dalla musica classica, oppure ci sono quelle due o tre particolari esperienze di pop molto estremo negli anni ottanta. Per il resto tutto quello che arriva dall’Italia è in qualche modo riutilizzare un linguaggio che viene mutuato dall’Inghilterra e dall’America soprattutto. Quindi è difficile costruirsi un pubblico all’estero. Però in giro per il mondo ci sono tantissimi italiani che esportano le nostre capacità e creatività. Siamo veramente un popolo di cervelli in fuga. E spesso stringono amicizie molto intense con stranieri e li trascinano a venire ai nostri concerti. Insomma i fan stranieri sono sempre portati da italiani.

T. Hai quasi sempre cantato in italiano, ma hai anche riproposto brani in lingua inglese. C’è un futuro in questa lingua nei tuoi progetti da solista.

S. No, assolutamente. Il mio era un inglese maccheronico (ride). Da solista mi esprimo in italiano che è una lingua bellissima e che amo tantissimo. Non riuscirei ad essere così denso con un’altra lingua. Ho avuto un’esperienza con i Motel Connection, un altro gruppo che ho generato. Ma quello era un esperimento legato alla musica dance. Si può dire che, anche se è nata in Italia in qualche modo, la dance ha sempre utilizzato la lingua inglese. È molto ritmica e la voce può essere uno strumento. Quindi ho cantato in inglese, ma solo in quel contesto poteva funzionare.


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T. Hai collaborato con alcuni tra i più grandi artisti della musica italiana da Battiato a Manuel Agnelli, tuttoraJovanotti è sempre presente. In che misura queste esperienze hanno influenzato il  Samuel solista di oggi?

S. Tutte le collaborazioni nascono in forma di scambio. Ci si lascia e ci si dà qualcosa. Alla fine di tutte le collaborazioni che ho fatto mi sono ritrovato dentro qualcosa che ho riutilizzato e gli altri hanno fatto lo stesso. In questo album in particolare è successo con Lorenzo (ndr Jovanotti) . Abbiamo iniziato un intenso rapporto epistolare fino al punto in cui ci siamo incontrati e abbiamo scritto diverse cose insieme tra cui cinque brani di questo album.

 

T. Hai dichiarato che, in fondo, le esperienze da solisti dei membri dei subsonica sono state un po’ come mettersi a nudo, provare a vedere dove si può arrivare da soli per poi ritrovarsi più forti.  Che Samuel ritroveranno i Subsonica il giorno che si metteranno di nuovo a registrare, cosa porterai di questa esperienza?

S. In realtà questa esperienza mi ha fatto riflettere su cosa non porterò. Non porterò l’esigenza e la voglia di primeggiare. Ho imparato in questi mesi a capire che all’interno di un gruppo non bisogna sovrastare gli altri o pensare di essere sovrastati. Bisogna trovare il proprio spazio e il proprio luogo. A ciò è servito questo mio percorso che molti fan dei Subsonica non hanno capito. Percorso che in realtà era atto a migliorare il rapporto con i Subsonica.

T. I canali per sfondare oggi sono tanti, non si suona solo nei locali. Ci sono i social, i canali youtube, i talent e tantissimi giovani che ci provano. Se oggi un ragazzo ti chiedesse un consiglio sulla strada da intraprendere per entrare nel mondo della musica, tu cosa risponderesti?

S. Risponderei che non saprei cosa consigliare perché i tempi cambiano. Quello che per me era giusto quando ho iniziato adesso non vale più. Oggi ci sono i talent che a venti anni non avrei mai preso in considerazione così come i social. La mia generazione è nata e cresciuta sul palco che ci ha formato. Mi rendo conto che oggi funziona in altra maniera ed è giusto che i giovani insegnino a noi come ci si muove. Quello che mi sento di dire è che i social ti permettono di essere il tuo ufficio stampa e questa è un’evoluzione incredibile per un artista. Vai a dire quello che vuoi tu e non ti fai mettere in bocca niente da nessuno. Invece i talent formano estremamente bene da un punto di vista televisivo. Ti fanno stare davanti a una telecamera con grande scioltezza e abilità, cosa se serve, non ci sputo per niente sopra. Però diventa molto importante anche saper stare sul palco, avere una credibilità lassù. Quindi il mio consiglio è di utilizzare questi strumenti, però di pensare che a un certo punto ti ritroverai da solo con un microfono su un palco e davanti a della gente e lì devi essere credibile.

 

T. Noi seguiamo la musica italiana a tutti i livelli, dall’indie al pop al rap. Dai nuovi cantautori ai mostri sacri. Ci puoi dare un giudizio sullo stato generale di salute della musica nel nostro Paese?

S. Per analizzare la musica devi analizzare il Paese, di cui la musica è un’espressione. Il Paese è in estrema difficoltà culturale per quello che ti dicevo prima. Siamo stati da sempre abituati a essere colonizzati culturalmente. Sempre di più facciamo fatica a tirar fuori la nostra indole, il nostro modo. Adattiamo la cultura degli altri alla nostra. Il rap, linguaggio degli afroamericani cresciuti nel ghetto americano, ne è una prova eclatante. Abbiamo mutuato una serie di atteggiamenti culturali che non sono nostri, ma oggi i ragazzi guardano a quello. È come se non avessimo più costruito una nostra espressività ma semplicemente mutuato altro. Però c’è da dire che il tempo è ciclico. I periodi storici hanno necessità di essere in un modo per poi essere smentiti e ricostruiti. E, paradossalmente, proprio in questi momenti di estrema difficoltà espressiva nascono dei focolai molto intensi. La musica italiana indipendente sotterranea ne nasconde diversi.

T. Un nome?

S. Ce ne sono diversi. Partendo dal cantautorato, Brunori Sas è uno che scrive in maniera eccellente. Cosmo fa musica elettronica in maniera stupenda. Ci sono esperienze più elettroniche come LIM, eccezionali. Gli Inude con cui abbiamo suonato insieme a Bruxelles sono un gruppo di Lecce  che sembrano arrivati direttamente dalla Norvegia. Insomma dei focolai importanti che stanno trovando una dimensione. Io credo che questi potranno contribuire a riscrivere la musica italiana.

Intanto Samuel ha scritto l’ennesimo pezzo della sua lunga carriera e ce lo ha portato sul palco suonando molto del suo album nuovo, proponendo canzoni riarrangiate di altri suoi progetti, una bella reinterpretazione di Ho difeso il mio amore dei Nomadi e infine, prima del gran finale, un “bignami” dei Subsonica, versione solista. Ed è giusto così, in fondo, anche se per poco, Samuel è fuori dal gruppo.


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