di Michele Canarino Nel cammino di uno studente universitario si incontra un sacco di gente. Ragazzi e ragazze diversi gli uni dagli altri per età, provenienza, estrazione sociale e credo. Quello che li differenzia è l’impatto che hanno e che avranno sulla tua vita. Alcuni li conosci un sabato sera, gli stringi la mano e dopo due secondi ti sei già dimenticato il nome. Altri dureranno giusto il tempo di preparare un esame con te. Altri ancora li frequenterai fino alla fine della loro, o della tua, carriera universitaria, per poi vederli dissolvere dietro le quinte. Alla fine rimarranno solo alcune persone, con le quali davvero hai condiviso tutto: il cibo, le birre, il sonno.
Ho più volte detto e rimarcato il fatto che vivo a Napoli da ormai sei anni. Ho anche sottolineato quanto questa città sia bella, quanto sia capace di far innomare le persone. Non ho mai scritto di chi ci vive da quando è nato. La descrizione migliore che si possa dare di un napoletano appartiene al genio di Luciano De Crescenzo.
Luciano De Crescenzo è nato a Napoli, è un ingegnere con il vizio della filosofia, che nel tempo libero si è dedicato alla scrittura, alla sceneggiatura e alla recitazione. Meno conosciuto di Totò e Troisi, è stato capace di rappresentare Napoli e i suoi abitanti al meglio: li ha definiti uomini d’amore. Per De Crescenzo è uomo d’amore chi vuole stare sempre molto vicino ai suoi simili, chi preferisce il bagno alla doccia, chi crede che sia meglio condividere piuttosto che stare per i “fatti suoi”. Un napoletano è così: si arrabbia se rifiuti il caffè, ti dimostra il suo bene con i piccoli gesti e le piccole cose. Ecco, i napoletani che ho conosciuto in questi anni mi hanno trasmesso tantissimo, mi hanno insegnato ad amare questa terra. E spero che rimangano con me fino alla fine.
Sempre questi anni, e sempre questi miei amici, mi hanno fatto scoprire un genere che ha poco a che fare con la mia cultura musicale: il neomelodico. A Napoli e dintorni, il neomelodico non è un genere musicale, è un credo. I neomelodici non sono dei cantanti, sono delle istituzioni. Alcuni, sono delle divinità.
La canzone napoletana fa parte della storia di questa città quanto ne fanno parte la pizza e il mare. Puoi sentirla la domenica mattina mentre la signora del piano di sopra fa le pulizie, puoi sentirla uscire dallo stereo della macchina parcheggiata di fronte al bar dietro casa tua, puoi sentirla alle feste di quartiere, nei karaoke. Puoi sentirla nei vicoli del centro, ogni giorno, ad ogni ora, sparata al massimo. E chi è nato in questi posti, ha semplicemente assimilato, fin dall’infanzia, la canzone napoletana. Parlando con uno dei miei amici, è emerso proprio questo: anche se non ascolti frequentamente questo genere, se non lo hai mai ascoltato di tua spontanea volontà, se sei nato a Napoli, conoscerai comunque a memoria i testi di Nino D’Angelo, di Mario Merola, di Gigi D’Alessio e di tanti artisti minori che non posso stare qui a nominarvi per quanti sono. Immagino sia come il calcio per i brasiliani, ti scorre nelle vene.
Con questa cornice e queste premesse, si è arrivati al 13 febbraio del 2017. Su Youtube è saltato fuori un pezzo totalmente cantato in dialetto napoletano su una base di R&B moderno. Si tratta di NOVE MAGGIO e della prima manifestazione di LIBERATO.
La canzone e il video sono partiti un po’ in sordina, a inizio marzo si contavano poco più di 20.000 visualizzazioni sul tubo e su Spotify non si trovava nulla, l’unico modo per ottenere legalmente la traccia era comprarla su Bandcamp. Sembra che i primi ad aver notato l’artista napoletano siano stati quelli della redazione di Rolling Stones, che prima ne hanno parlato in un articolo e poi sono riusciti ad intervistare, in qualche modo, LIBERATO stesso. Contemporaneamente, il pezzo è stato “spinto” sui social da una grande mole di artisti, tra i primi a condividerlo: Bertallot, Calcutta e tutta la scena hip-hop napoletana. Da lì in poi è stato un’ascesa verso il riconoscimento internazionale, si è parlato e scritto di lui in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Il testo parla di un amore finito male e il video è stato pubblicato il giorno prima di San Valentino.
Il tempo passa, l’hype cresce e così crescono anche le visualizzazioni e il rumore attorno alla questione LIBERATO. Viene annunciata la sua prima e, fino ad ora unica, data live: al Mi Ami Festival. Intanto, si arriva al 9 del mese di maggio e, come da copione, l’artista napoletano si fa sentire nuovamente. In tarda serata esce su Youtube il un nuovo video: TU T’E SCURDAT’ ‘E ME. Il pezzo segue la falsariga del precedente, solo la base è un tantino più veloce e ritmata, il cantato è in dialetto napoletano e tratta di una storia d’amore finita male.
Con il secondo segno di vita, LIBERATO diventa un vero e proprio fenomeno social. Su Facebook compaiono i primi memes e le prime pagine che lo riguardano, qualsiasi fanzine/blog/rivista musicale minimamente attiva sui social scrive un articolo su di lui e una miriade di personaggi noti canta le sua canzoni nelle Instagram stories. Ma questo è niente rispetto a quello che succederà il 26 maggio, poco dopo l’una e dieci.
Prima data live. Sul palco c’è chiunque tranne lui. Dietro la consolle c’è DJ Shablo, al microfono si alternano Calcutta, IZI e Priestess. Da quel momento in poi, caos più totale. Alle tre di notte mi sono trovato a commentare più di qualche post su Facebook per cercare di fare un minimo di chiarezza sulla situazione, per cercare di far capire che l’accento napoletano non è imitabile, che presentare sul palco artisti di questo calibro era l’ennesima scelta di un genio della comunicazione. E che no, una volta per tutte, dietro questo mistero irrisolto non si cela Calcutta.
In tutto questo, credo di aver tralasciato un aspetto importante della questione in esame: “nessuno” sa chi cazzo è LIBERATO.
Qualche anno fa, diciamo più di un lustro fa, una professoressa di matematica mi disse che per problemi complessi, difficilmente esistono soluzioni semplici. Un possibile metodo per affrontarli è suddividere il problema principale in un sottoinsieme di problemi semplici e dare a questi ultimi delle soluzioni altrettanto semplici. Per cercare di analizzare al meglio il fenomeno LIBERATO, credo sia necessario utilizzare questo stratagemma.
Partiamo dalle fondamenta, la musica. L’anonimato, e la conseguenta curiosità, sembrano avere in parte distolto l’attenzione dal motivo per il quale l’artista napoletano piace tanto. Il suo modo di fare musica è fresco, è cool, e questo è indiscutibile. Si tratta di un mix di Majid Jordan, Flume e la migliore canzone napoletana, condito da una voce molto effettata. Qualcuno ha provato a dire che non c’è niente di nuovo: l’ R&B è un fenomeno mondiale, trito e ritrito, proposto in tutte le salse; il cantato in dialetto napoletano esiste da secoli e i temi trattati non sono profondi. La critica è in parte giusta, ma mettere insieme questi generi, proporli in questo modo e in questo periodo storico, non è cosa di facile realizzazione. Prima del live al Mi Ami è stato suonato un mix che conteneva, in ordine sparso: M.I.A. , Nino D’Angelo, Maria Nazionale, Prodigy, Tammuriata e Childish Gambino.
Penso si tratti non solo di una dimostrazione di quanto profonda, radicata ed eterogenea sia la cultura musicale di LIBERATO, ma anche di un manifesto delle intenzioni dell’artista. NOVE MAGGIO e TU T’E SCURDAT’ ‘E ME vogliono fondere Napoli e il mondo in un modo che fino ad ora non si era ancora visto. Il dialetto napoletano è stato utilizzato nel pop, la scena musicale napoletana è una delle più ferventi d’Italia, ma mai nessuno aveva provato a mettere insieme le sonorità internazionali degli anni ’10 e il dialetto napoletano. Una persona che mi sta particolarmente a cuore mi ha suggerito un paragone molto azzardato: Pino Daniele. Di certo non si possono mettere a confronto nemmeno lontanamente i due artisti, ma quella che sta facendo oggi LIBERATO è simile, con le dovute proporzioni, a quello che fece Pino Daniele negli anni ’80, mischiando il blues alla tradizione napoletana. Ripeto, due pesi e due misure totalmente dissimili, ma l’idea alla base sembra la stessa.
Veniamo al secondo punto: i video. I video che accompagnano le canzoni di LIBERATO sono girati entrambi dalla stessa persona: Francesco Lettieri.
Francesco Lettieri è nato a Napoli ed è uno dei migliori videomaker d’Italia. Ha girato e e curato la regia per i videoclip di: Calcutta, Thegiornalisti, Francesco Motta, Giovanni Truppi, Emis Killa, Giorgio Poi e Nada, solo per citarne alcuni. Per dirne una, è l’artefice del video di Cosa mi manchi a fare, che grazie al bambino indiano è diventato un cult. Inolte, Lettieri sembra essere una sorta di portavoce di LIBERATO, è stato lui uno dei primissimi a condividere i pezzi su Facebook e a citarlo su Instagram, e sempre lui lo ha seguito nella data milanese e ha mostrato per primo le t-shirt create per l’occasione.
Il punto è che i video che accompagnano NOVE MAGGIO e TU T’E SCURDAT’ ‘E ME calzano a pennello. Credo se ne siano accorti tutti, ma gli aspetti che vorrei sottolineare sono diversi:
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Interpreti: quasi nessuno dei ragazzi che compare nei video è un attore professionista. L’unica ad avere una carriera da attrice alle spalle è la bellissima Demetra Avincola, tutti gli altri sono adolescenti alla prima esperienza nella recitazione e immagino che questa scelta sia dovuta alla volontà di rendere tutto il più veritiero possibile, utilizzando delle facce da “guappi” e degli outfit molto in voga sotto il Vesuvio.
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Ambientazioni: poche scene sono girate in centro, non c’è la Napoli turistica che spesso si vede in televisione e in tanti altri video. Vengono mostrati luoghi poco conosciuti, troppo nascosti per essere raggiunti da chi si ferma in città per pochi giorni. C’è il retro dello stadio San Paolo, c’è la discesa che porta da Posillipo a Bagnoli, c’è Fuorigrotta, c’è il lido Mappatella. E poi ci sono Marechiaro, i pullman dell’ANM e i paninari sul lungomare. Solo un figlio di Parthenope avrebbe potuto conoscere tutti questi dettagli della città e solo in questo modo poteva essere comunicata la sensazione che si prova a vivere tutti i giorni, tutto questo.
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Comunicazione: più di qualcuno ha fatto notare che tutto ciò che gira attorno al nome di LIBERATO è curato nei minimi dettagli, sembra una campagna di marketing in piena regola. Sulla cura dei dettagli mi trovo d’accordo, non sono sicuro che si tratti però di un progetto architettato con il solo fine ultimo di vendere un prodotto. Le canzoni di LIBERATO possono essere acquistate solo su Bandcamp, al massimo possono essere scaricate su Spotify. Nessuna copia fisica, nessuno store digitale di grandi dimensioni e nessuna grossa casa di distribuzione alle spalle. E poi, io credo che nemmeno LIBERATO si aspettasse tutto questo. L’artista comunica prevalentemente attraverso il suo tumblr, farcito di gif, erba, foto di Napoli, Kid Cudi e Maradona. Spulciando la sua pagina, si può notare che i primi post risalgono ad ottobre del 2016, un periodo molto precedente al primo singolo. A me sembra quasi che si sia trovato in questa situazione senza prevederlo, e una volta in ballo abbia semplicemente ballato al meglio delle sue possibilità
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Anonimato: si sono fatti tanti nomi, nessuno sembra aver centrato quello giusto. Si è parlato di Ivan Granatino, che ha smentito categoricamente, qualcuno ha immaginato che si tratti di un progetto che coinvolge alcuni artisti della scena hip-hop napoletana, qualcuno ha messo in mezzo Calcutta, Soros e i massoni. L’impressione è che si sappia chi si cela dietro il cappuccio ed il giubotto blu della Iuter, ma sicuramente chi lavora con lui ha firmato un patto di riservatezza.