di Antonio Zarrelli Tutto il Regno Unito negli ultimi mesi è stato scosso da tragiche vicende ormai note a tutti. Una a Westminster, proprio il giorno del concerto di Dente, un’altra a Manchester, quando sono state colpite persone che hanno la nostra stessa passione, e alcuni giorni fa gli episodi di London Bridge. In questi momenti in tanti ti chiedono se vale la pena vivere in una città così a rischio. La risposta è scontata: assolutamente sì. Perché quando io penso a questa città, mi vengono in mente tante di quelle belle esperienze che fanno decisamente pendere l’ago della bilancia da una certa parte. Una di queste, di cui voglio parlarvi oggi, è stata tanto bella quanto inusuale per certi versi: il concerto dei Rumatera freschi di nuovo album “Ricchissimi”. Punk veneziano a Londra, questo ci ha regalato Tij Events qualche settimana fa. Ma se una certa energia e anche un pogo sfrenato me l’aspettavo, quello che più mi ha stupito è stato il dovere assistere a uno show a metà tra un concerto spaccatimpani e uno spettacolo comico, con un tocco di sana e politically incorrect goliardia da osteria e anche primi passi nell’apprendimento di una certa fraseologia veneta per me che veneto non sono. Il tutto condito da una performance energica della loro ballerina ufficiale che, nonostante un piede a pezzi, saltellava su quello buono senza fermarsi un attimo e non ce l’ha fatta proprio proprio a prendersi una serata di pausa. Tre ragazzoni che abbiamo scoperto essere dotati di un talento naturale per l’intrattenimento, oltre le indiscusse abilità musicali, tanto che potrebbero benissimo pensare di fondare il primo “Zelig Punk Circus”, alternando pogo e schitarrate a grosse risate. Canzoncine, storielle, annedoti, proverbi, birra e terra natia.
Prima del concerto noi li abbiamo chiamati e ci siamo fatti una chiacchierata.
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T. Ciao. Primo concerto a Londra. Per una band punk un regalo per questi primi 10 anni di attività?
R. Beh, non l’avevamo interpretata così, ma comunque è un bel regalo. È un sogno che si avvera, nel senso che Londra l’abbiamo sempre vista come la capitale europea della musica che piace a noi. Ci sono città come Berlino e Amsterdam che possono essere capitali di un altro tipo di musica, ma Londra è quella di riferimento per noi che siamo una band di ispirazione punk rock, anche se poi abbiamo spaziato in altri generi. Per noi resta sempre una città magica.
T. Londra, città del punk e sicuramente la più multiculturale d’Europa. La vostra musica, il vostro modo di comunicare dovrebbero trovare un palco amico. Cosa vi aspettate da questa data, che tipo di pubblico?
R. Credo che la data abbia un maggiore appeal verso gli italiani a Londra, soprattutto veneti. Il nostro repertorio è al 90 % in lingua veneta. Ma Londra, se la ricordo bene, è comunque una città con molto movimento, e se c’è la curiosità che c’era anni fa allora possiamo avvicinare anche qualcuno che non è italiano. In Italia forse la musica dal vivo non genera lo stesso interesse di qualche anno fa. Più difficilmente gruppi o musicisti vanno a seguire i loro colleghi. A volte si creano circuiti chiusi che portano pure a incomprensioni. Si è perso un po’ lo spirito di qualche anno fa quando ci si sentiva tutti sulla stessa barca.
T. Voi avete fatto questa scelta di cantare in lingua veneta. In genere si sta tornando a un’idea che il dialetto non sia più qualcosa che evidenzi una mancanza di “buona cultura”, al contrario è uno dei modi per preservarla. Quando è che avete deciso che cantare in veneziano potesse essere qualcosa di “esportabile”?
R. Faccio una premessa. Noi abbiamo sempre cantato in dialetto veneto perché ci ha sempre divertito e ci permette di mettere direttamente nelle canzoni alcune espressioni verbali come le sentiamo e che magari ci fanno ridere. Ci siamo accorti che era esportabile quando abbiamo visto che non era un limite ma una caratteristica. Quando ci siamo accorti che è una cosa che crea curiosità. Magari quando c’è un’espressione che uno non sa esattamente cosa vuol dire, se hai occasione, oltre di fare arrivare la canzone, anche di spiegare cosa c’è dietro tramite interviste, in radio o in televisione, allora la cosa diventa interessante per chi ascolta. Ci siamo resi conto che quando abbiamo storie da raccontare allora anche la gente comincia a seguirci di più. A volte sul palco raccontiamo degli aneddoti legati alle canzoni e il pubblico si avvicina di più al nostro mondo, anche se è di Bari, Roma o Milano. E in questo modo ritornano pure a sentirci.
T. A proposito di ciò. C’è qualcuno che afferma che le lingue regionali italiane, con le loro musicalità, rispetto all’italiano vero e proprio, in qualche modo facilitino anche la scrittura di testi per canzoni punk rock più adatte alla lingua anglosassone. Voi avete anche tradotto un album in inglese. Com’è la vostra esperienza rispetto a questo?
R. In quell’occasione abbiamo totalmente cambiato la tematica delle canzoni, avendo un occhio più attento alla musicalità delle parole, alla ritmica e alla metrica. Il casino di scrivere in inglese è che non sai mai veramente fino in fondo quello che stai facendo, anche se hai un madrelingua ad aiutarti a tradurre. È una cosa molto rischiosa. Poi nella traduzione si perde anche il senso delle espressioni in lingua veneta, per cui in quel caso non abbiamo tradotto alla lettera.
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