La Rappresentante di Lista: Fradici di gioia


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di Giulia Naddeo e Alessandra Iaquinta, fotografie di Andrea Ape

Il cortile tra le due sale del Monk è stranamente poco affollato nonostante l’ora sia quella ideale per una birra fresca d’inizio primavera: è il 25 marzo e la notte romana già promette un’aria mite, ravvivata da un alito piacevolissimo di vento. Eppure, non c’è nessuno fuori se sul palco in sala sono già pronti i ragazzi de La Rappresentante di Lista: la talentuosa stravaganza di Dario Mangiaracina e l’eclettismo e l’audacia di Veronica Lucchesi, accompagnati dalle tastiere e la tromba di Enrico Lupi e le percussioni di Marta Cannuscio.


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L’avventura comincia sulle note di Siamo ospiti, un brano manifesto che fa sentire subito tutti accolti dai padroni di casa in un grande salotto festante: siamo “ospiti notturni che fanno rumore”, ma gli occhi no, non sono distratti; sono pieni di luce. Il pubblico è attento, vorace, trasversale: partecipa in modo composto perché sa che è solo l’inizio. E’ come una Mina vagante che si osserva col fiato sospeso, sempre sul punto di esplodere. Cosa farò, Guardateci tutti e Bora bora puntellano un viaggio fra melodie che ricordano ora le musicalità gipsy punk dei DeVotchKa, ora lo stile minimalista e folk di Sufjan Stevens.


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Melodie difficili da collocare tra i generi, costruite su parole mai scontate, ma dense di rimandi a mondi altri, colorati ed eccentrici. Agli esploratori che hanno intrapreso questo viaggio non sarà sembrato strano fare tappa anche in Sicilia, accompagnati dai fiati della Med Free Orkestra che riempiono (oltre al palco) l’atmosfera con il fascino arcaico dei cori dialettali, impenetrabili e viscerali insieme. Segue Invisibilmente, piccolo poema contemporaneo dal ritmo serrato e coinvolgente, per approdare poi a un graditissimo omaggio: E la luna bussò, cantato in parte a cappella. Da brividi.


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La gestualità teatrale accompagnata dagli arrangiamenti impeccabili rendono il tributo all’inimitabile Bertè un’ulteriore prova della loro bravura dirompente: nessuna nostalgia dell’originale. E se la luna bussa? Allora Apriti cielo e Un’isola diventano le uniche risposte possibili, tra un assolo di tromba mozzafiato e un acuto impeccabile a sciorinare un talento privo di presunzione. Senza un attimo di stasi, il viaggio arriva a destinazione con un carico di energia che fino a un attimo prima ci ha fatto ballare e sorridere senza sosta. Siamo ‘fradici di gioia’, abbagliati dai faretti sparati dritti in faccia, e anche un po’ storditi dall’imminente approdo: si torna al cortile abbandonato appena un’ora fa con ancora l’eco de ‘la via degli uomini’ che ronza nelle orecchie. Adesso una birra ci sta tutta: ristoro del viaggiatore partito dall’inverno e ritrovatosi in primavera.