L’arte dei miscugli – L’oscenità e la furia


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di Alessandra Virginia Rossi

Nel film Velvet Goldmine di Todd Haynes, Christian Bale è Arthur Stuart, un adolescente che vive, o almeno sogna di vivere appieno, la sgangherata Swinging London del glam rock. Brian Slade (un androgino e marziano Jonathan Rhys Meyers) è il suo idolo. Nella casa dei suoi, alla periferia di Londra, Arthur nasconde una gran fame di vita dietro la porta chiusa della sua stanza e i suoi vestiti colorati sotto un cappotto grigio e marrone come l’arredamento di quella casa severa e stantia. Quando Brian Slade, sull’onda di un improvviso quanto eclatante successo, appare sullo schermo del televisore di Mr. And Mrs. Stuart, Arthur assiste alla conferenza stampa della sua rockstar preferita in silenzio mentre i suoi borbottano allo scandalo.


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Brian Slade si presenta ai giornalisti vestito come un dandy del pop venuto da Marte e visibilmente truccato because rock n’ roll’s a prostitute. It should be tarted up.“I tuoi fans non potrebbero trarre un’impressione sbagliata?” chiede un reporter.“E quale sarebbe questa impressione sbagliata?”“Beh che sei una checca impazzita”“Beh, grazie signore, no. Direi che se le persone ricevono quell’impressione da me, quella che ha definito in modo così eloquente, non sarebbe affatto un’impressione sbagliata”. Rapito dal suo dio sullo schermo, Arthur vorrebbe saltare, rompere la monotonia della carta da parati verdognola e puntando il dito verso lo schermo, urlare in faccia ai genitori: “QUELLO SONO IO! QUELLO SONO IO!!!”.

Deve essere successo qualcosa di molto simile quel maledetto (almeno per il conduttore) 1° dicembre del 1976 in cui Bill Grundy, durante il suo popolare Today Show, in piena fascia protetta si ritrova imprevedibilmente travolto dagli insulti di Johnny Rotten, Steve Jones, Paul Cook e Glen Matlock. Una marmaglia di ragazzini sfacciati più noti col nome di Sex Pistols. Grundy li provoca chiedendo “Siete seri o cercate solo di farci ridere?”. Non sono cose da dire a Johnny e Steve che si vendicano definendo a mezza voce Mozart, Beethoven e Chopin “shit”, una rude word che Grundy tiene a far sentire ai telespettatori. Caduto completamente nella provocazione dei ragazzi, Grundy si rivolge alle ragazze in studio, tra cui figura una platinata Siouxsie Sioux, e firma la sua condanna. Volano ingiurie della peggior specie in diretta nazionale e ci si sfida a dare il peggio di sé, fino al tremendo congedo di Grundy: “Well, that’s it for tonight.” Ed è tutto anche per la sua carriera, vista l’immediata sospensione che gli costa il teatrino che ha favorito. Mentre nelle case di mezza Inghilterra gli adulti gridano allo scandalo contattando l’emittente, qualche ragazzino ha finalmente visto la luce e avrà urlato “Quello sono io!”. Il mattino dopo il Daily Mirror lancia un titolo che porta finalmente il punk al grande pubblico.


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Non sono mancati altri scandali della stessa portata. Da Jim Morrison che se ne frega di censurare Light my fire all’Ed Sullivan Show nel ‘67, a Sinead O’Connor e la sua protesta contro Giovanni Paolo II che costò al Saturday Night Live, o meglio alla Nbc, ben 496 telefonate di reclamo. I Nirvana nel video di In bloom mettono in scena proprio la distruzione di uno studio televisivo mentre alle soglie del nuovo millennio c’è chi fa scandalo anche solo esistendo, come nel caso di Marilyn Manson a cui la follia genitoriale ha attribuito addirittura l’incitamento a fare stragi nei licei.

Nella storia nostrana possiamo andare orgogliosi di qualche pantomima niente male offertaci dal Festival di Sanremo. Il Vasco nazionale, la cui sbronza spericolata è fin troppo nota per doverla raccontare, Peter Gabriel che, nell’83, eseguendo Shock the monkey si lancia con una liana sulle prime file dell’Ariston calpestando qualche bel soprabito, ma soprattutto gli indimenticabili Placebo. Brian Molko e soci portano a casa un silenzio tombale che l’Ariston forse non ha mai più sentito, chiari e nitidi cori da stadio e grassi fischi. La vicenda si conclude con la valletta che ci informa: “La Liguria è bellissima”. Forse una canzone che parla di ketamina non è poi così adatta al festival della città dei fiori.


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Grandi bluff? Provocazioni create ad arte? Forse, ma chi se ne frega. L’importante è che un ragazzino sia all’ascolto. Io davanti a Brian c’ero e avevo 11 anni solo da un mese mentre gridavo qualcosa che si avvicinava di più a “Che diavolo succede?” ma che col tempo si è trasformato in “Quella sono io!!!”.Ci fanno sognare i nostri eroi imperfetti, in attesa del grande giorno in cui, lontano da ogni giudizio, la furia del live ci farà incontrare.