Duecartellespazinclusi (Il taccuino di A.Z.) – Ho dormito in posti peggiori


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di A.Z.

L’uomo tossì. Non ce la faceva a respirare. Non riusciva a vedere dove mettere i piedi. Il puzzo lo soffocava. Non era certo il momento migliore per tornare in città. A ogni passo che faceva aveva l’impressione di andare a sbattere contro un muro o di rischiare di cadere in qualche buca profonda. Fece la cosa che gli venne più naturale. Glielo avevano insegnato tanti anni prima. Quando sei al buio, o non riesci a vedere, trova un punto d’appoggio e aiutati con l’istinto. Così fece, si appoggiò a un muro. Si fermò un attimo a pensare. Mancava dalla città da dieci o da vent’anni, non lo ricordava più ormai. Non poteva essere cambiata così. Forse senza accorgersene aveva sbagliato stazione, forse addirittura città. Una mano gli tastò il volto. Lui tornò alla realtà. Scusi, non si vede niente, gli disse uno. Però, pure lei se ne sta fermo così, in questa situazione. Non si rese bene conto delle parole, né da dove provenissero precisamente. Poi intorno a lui parole tra rassegnazione e imprecazione di gente che andava a sbattere contro altra gente.

A sentirli parlare, era nella città giusta. Quello che non gli avevano insegnato, era che se al buio ci si fosse trovato in città, il rischio era quello che tutti si appoggiassero al muro per andare avanti. A stare fermo lì, tastato da un’altra persona, si rese coso che faceva pure freddo. La mano che reggeva la piccola valigia che aveva con sé si era intorpidita. D’istinto appoggiò la valigia accanto ai suoi piedi per potersi sfregare le mani, ma subito la raccattò. Ebbe quasi paura che in quella fittissima nebbia si vaporizzasse insieme a tutti i fumi nell’aria. Cominciò a camminare e a tastare, ogni tanto incrociava mani e volti di gente. Rumore di parole ne sentiva qua e là. Stranamente, forse in quel momento neanche troppo, non sentiva rumore di motori e di gente che correva di fretta. Quella nebbia costringeva tutti ad andare piano, almeno quelli che erano costretti ad andare. Gli altri forse se ne stavano al caldo a casa.  Un altro colpo di tosse, dolore alla gola, lacrime agli occhi, mani intorpidite, una porta.


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Appoggiò la mano alla porta, si mosse. Era aperta. Decise di entrare. Aveva il puzzo della strada nelle narici e sui vestiti, gli occhi ancora non riuscivano ad abituarsi al nuovo ambiente. Si accorse di una luce, di alcuni tavoli e delle sedie. Nient’altro al momento. Ma dove c’erano tavoli e sedie, di solito trovava anche un bancone. E, nonostante tutto, il bancone era sempre il miglior punto d’appoggio in ogni situazione. Questo non glielo avevano insegnato, l’aveva imparato da solo. E così, passo dopo passo, dopo qualche mezzo passo falso tra un gradino e una sedia, arrivò al bancone. La vista cominciava ad abituarsi. Dall’altro lato trovò uno vecchio come lui che bestemmiava e tirava calci a qualsiasi cosa avesse tra i piedi. Che cazzo di schifo, ho finito pure il carbone. Fa un cazzo di freddo. Quest’anno vado in rovina. Ma almeno una birra ce l’hai, disse l’uomo sfregandosi gli occhi, e dando un altro colpo di tosse, ho la gola che mi sta bruciando. Qui una birra la troverai sempre, anche con questo cazzo di tempo. Te ne potevi stare a casa tua no? Non sono di qui, rispose, ci sono dovuto venire. Fece un sorso. Parve sentirsi meglio. Ci era dovuto venire. Ancora una volta, la terza in vent’anni forse. Ancora una volta per aggiustare qualcosa. Ma stavolta lo sapeva, non sarebbe servito a niente. Fece un altro sorso, si guardò la sua pinta. L’ultima volta ne aveva ordinate due.

Si mise una mano in tasca. Tirò fuori il pezzo di carta, se lo lesse. Hai un posto dove dormire, chiese all’altro dietro il bancone. No, non ce l’ho, però se vuoi puoi dormire sul divano nel retro, ma ho finito il carbone e non so se ce l’ho una coperta. Mi basta, disse l’uomo guardando ancora il pezzo di carta, ho dormito in posti peggiori. Ripiegò con cura il pezzo di carta e se lo rimise in tasca. Finì la sua pinta, ne prese un’altra. Intanto l’aria si faceva più pesante, cominciò a vederci peggio. Il puzzo della strada era entrato nel pub, la nebbia cominciava ad avvolgerlo. La gola bruciava, la birra non gli dava sollievo. Il freddo gli entrò dentro alle ossa. Quello dietro al bancone comianciò a bestemmiare. I suoi occhi lacrimavano ancora.