Duecartellespazinclusi (Il taccuino di A.Z.) – In fondo toccava a lui


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di A.Z.

Aveva deciso di farlo. In fondo, toccava a lui. Chi altri se non lui. Si può dire che lì ci era nato, lì era diventato quello che era ora. Con passo lento, cappello in testa e valigia alla mano, l’uomo si avvicinava a quella che poteva considerare la sua casa paterna. Effettivamente era un po’ che non ci tornava e sentiva dentro di sé quasi la stessa sensazione che aveva provato anni prima quando, giovane e con la testa al futuro, stava per passare quella soglia per la prima volta. Una sensazione di nulla, era così lui. Quando agli altri cominciava a venire l’ansia, o a battere il cuore più forte, lui invece cominciava a sentire il nulla. Gli sembrava che il cuore non gli batteva più, non sentiva più i suoi passi calpestare la terra, tutto intorno a lui spariva per poi riapparire improvvisamente al momento opportuno. A volte gli andava bene per il suo lavoro, ma altre volte bisognava dirgli le cose tre volte per avere la sua attenzione. Quel giorno, come anni prima, aveva percorso lo stesso tratto di strada. Ma, a differenza di anni prima, quel giorno la gente se lo guardava, qualcuno non azzardava a dire niente, altri lo chiamavano, qualcuno voleva dargli la mano. Ma lui, niente. Come tanti anni prima sentiva il nulla dentro, e camminava dritto verso quell’edificio. A dire il vero, ci fosse stato il vecchio a osservarlo, forse qualcosa di diverso avrebbe scrutato in quel viso. Era come se quella volta il nulla che aveva creato intorno a sé fosse più profondo, non fosse solo il suo modo di affrontare la vita. Era come se il nulla avesse intaccato il suo animo. Forse solo il vecchio, che lo aveva preso con sé così giovane, se ne sarebbe accorto. Ma ora il vecchio non c’era più e se ci fosse stato, probabilmente avrebbe provato a modo suo la stessa sensazione di andare incontro al nulla. L’uomo svoltò l’angolo e, come già gli era capitato la prima volta, ritornò in sé e si fermò a guardare la piazza e l’edificio che era stato la culla dei suoi sogni, il sostegno sicuro della sua crescita e il primo testimone della sua consacrazione. Il vecchio, a dire il vero, se l’avesse osservato fermo lì in quegli istanti, non ci avrebbe visto negli occhi la stessa scintilla che aveva avuto anni prima.

L’uomo si accorse a quel punto di tutti quelli che lo aspettavano. Fece loro un segno e un sorriso e varcò la soglia. Conosceva a memoria quel posto, ci aveva riso e ci aveva pianto. Ci aveva fatto ridere e piangere. Ci si era innamorato tante volte e ci aveva fatto l’amore qualche volta. Ci aveva corso, ci aveva urlato, ci aveva mangiato e dormito, ci aveva accolto la gente, ci aveva cacciato qualcuno. Era casa sua e, come la prima volta che ci era entrato, andò dritto verso quello che era sempre stato il suo posto. Poggiò la stessa valigia per terra e si tolse lo stesso cappello. Si guardò intorno e godé di quel silenzio che gli piaceva. Il silenzio che gli diceva che quel luogo gli apparteneva veramente. Ma questa volta non c’era nessun vecchio a dirgli, che ci fai lassù, ragazzino, non è ancora ora! Ma la voce del vecchio in qualche modo la sentiva lo stesso, e ne sentiva mille altre di voci, di tutti quelli che ci erano passati, amici, fratelli o gente di solo un saluto, e sentiva le voci di tutti gli sconosciuti. Sentiva le ansie, le paure, gli incitamenti, sentiva le attese, gli applausi, sentiva i fischi e le delusioni. Dentro di sé sentiva tutto quello che era stato, sentiva tutto quello che il vecchio teatro aveva abbracciato, stretto a sé e protetto per anni. Lui era il teatro e il teatro era lui. Ormai l’ora era vicina. Godé di quegli ultimi istanti di silenzio e di mille ricordi. Prese la valigia e il cappello e se ne andò lentamente verso il suo camerino. Si soffermò davanti alla porta. Accarezzò la maniglia, gli sembrò più fredda che mai. Entrò, posò valigia e cappello, si tolse il cappotto. Si lavò la faccia e aprì la valigia. Prese l’occorrente, si sedette. Si guardò allo specchio, ci passò una mano per togliere quel filo di polvere e fece un sorriso al vecchio, che gli sembrava vederlo dappertutto. Fece un sospiro. Si mise la maschera che faceva tanto ridere la gente. Sentiva che quella sera, però, doveva mascherarsi un po’ di più per far ridere la gente. Lo doveva alla gente, ma soprattutto al teatro e anche al vecchio. La platea si stava riempiendo, non mancava poi così tanto. E come sempre, come la sua prima volta, si alzò, sospirò ancora, girò la maniglia ancora più fredda e se ne andò verso quello che era il suo posto. Ma questa volta, era l’ultima volta.