Botta e Risposta: Tre Allegri Ragazzi Morti – Il pop ‘ben vestido’ della Grande Città


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di Gabriele Naddeo

Nel ‘mulino che vorrei’, sull’eventuale scaffale dedicato al ‘Pop Italiano’, io ci vedo volentieri una bella pila di dischi come l’ultimo dei TARM. Ecco, “Inumani” dei Tre Allegri Ragazzi Morti è ‘il disco pop che vorrei’; un pop ‘ben vestido’, sia chiaro, che non annienta  l’immaginario dei ragazzi di Pordenone, ma piuttosto lo amplifica. Tra una cumbia con Jovanotti e la preziosa aggiunta della sei corde di Viterbini, i Tre Allegri a questo giro hanno deciso di farci ballare e cantare tutti e, per l’occasione, hanno scelto con cura la location. La Grande Città è il luogo inumano per eccellenza, la casa di chi si nasconde, diventa ricco, resta uguale o cerca l’amore. La casa di chi li voleva più punk, li voleva più reggae, li ha conosciuti l’altroieri sul profilo Facebook di Lorenzo Cherubini o chi anche al cesso ,al posto del cappellino blu dei New York Yankees, si mette su da anni la maschera col teschio. I tre, dieci, cento allegri ragazzi morti (l’album è un tripudio di collaborazioni)  ci fanno da cicerone a modo loro, spensierati come “Ruggero”, con un gran gusto nella ricerca del suond e quei testi semplici e carichi di immagini che li caratterizzano da sempre. A un bel disco seguono sempre una buona dose di curiosità ed Enrico Molteni ha qui risposto a qualche domanda ‘inumana’ legata all’ultimo lavoro del gruppo, inaugurando, di fatto,  il primo Botta e Risposta di Talassa.

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“Inumani” è un disco umanissimo: trasversale, libero, semplice e mai banale. ‘Ben vestido’, si direbbe. Sembra un traguardo e un nuovo punto di partenza. È questa – citazione della serie a fumetti di Stan Lee e Jack Kirby a parte – la vostra idea di inumanità?

C’è qualcosa di inumano anche nel modo in cui hai recepito il disco, un po’ come quando si dà del mostro a chi fa una cosa bella. Quindi può essere anche visto al contrario, girato. Che poi torna sempre ad essere Inumani. Ci piaceva proprio che potesse essere in un certo senso letto da vari punti di vista. La grafica, così come il video, sono a specchio, hanno un gioco di riflessi. Traguardo e partenza.

L’idea di questa realtà riflessa, evocata in tutte le scelte grafiche di “Inumani” (cover del disco, clip de “La grande città”, l’ambigramma del titolo…), mi ha affascinato parecchio. Che cosa vedono adesso i Tre Allegri Ragazzi Morti se si guardano allo specchio?

Siamo sicuramente orgogliosi di ciò che abbiamo fatto in questi anni. E ci piace l’idea di non essere soli, ci sembra di vedere nel riflesso che il panorama del nostro paese sia davvero ricco.

Infatti più che ‘tre ragazzi’ in questo disco ce ne saranno almeno una decina: Vasco Brondi, Maria Antonietta, Adriano Viterbini, Paolo Baldini, Monique Mizrahi, Jovanotti,  Pietro Alessandro Alosi, Alex Ingram… Come è nata l’idea di concepire l’album coinvolgendo un così grande numero di artisti e scrittori? Come avete fatto a mantenere intatta la vostra identità pur affidandovi a così tante voci diverse?

Come spesso succede, il processo è stato naturale, nessuna forzatura. Sono tutte persone vicine che ci conoscono e che hanno rispettato il nostro immaginario. Certo che ora per noi ascoltare il disco è un po’ come sfogliare l’album fotografico degli incontri di quei mesi! Per noi Inumani ha un grandissimo valore, è prezioso.


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Non posso fare a meno di immaginare Ruggero come una sorta di figura eroica. Spesso quando ascolto la canzone mi viene in mente il buon Forrest Gump.  Com’è nato il suo personaggio?

Ruggero è stata scritta da Alex Ingram per i suoi Lupetto, giovane band di Pordenone. Poi Davide ci ha aggiunto i ritornelli, creando il controcampo temporale. Ruggero esiste veramente ed è una persona che noi non conosciamo direttamente, della quale però ci raccontano sempre aneddoti assurdi. La tipica persona su cui vale la pena scrivere una canzone.

Nella cumbia in compagnia di Jovanotti, cantate la Grande Città che accoglie, che abbraccia tutti senza far distinzione tra chi si nasconde, diventa ricco, cerca l’amore o resta uguale. Ne “L’attacco” però c’è una città che brucia, difficile da guardare, che sembra far paura e ricordare che in fondo ‘sei vivo solo dentro la foresta’. Cosa vi ha spinto a raccontare questi due aspetti così diversi? Che cos’è la città nell’immaginario dei Tre Allegri Ragazzi Morti?

Siamo cresciuti in provincia e siamo davvero affascinati dalla città. Quando abbiamo scoperto Milano ce ne siamo innamorati proprio perché le cose che succedono sono esponenzialmente più grandi. Ma anche perché da certi punti di vista la città ti rende libero. È un po’ come dici, ci avviciniamo perché ne siamo attratti ma alle volte veniamo anche respinti. Ci piace ma poi ogni tanto abbiamo bisogno della foresta.