Duecartellespazinclusi (Il taccuino di A.Z.) – Cinque ghinee


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di A.Z.

Arrestato. Stop. Presentarsi entro 10 ottobre. Stop. Portare 5 ghinee. Stop. Stazione di polizia di fronte Grande Parco. Stop. Tuo figlio. Stop.

L’uomo, seduto sulla banchina, teneva stretto il telegramma tra le sue mani. Lo aveva letto e riletto. Non sapeva neanche quante volte ormai. Sembrava non accorgersi del viavai di gente intorno a lui. Tuo figlio, quelle due parole lo avevano colpito più di tutto il resto. Non pensava sarebbe potuto più essere un padre per suo figlio. Quel giovane che non vedeva da anni, e che non si era più fatto vivo. Non si era mai sentito di condannarlo. Il ragazzo aveva deciso di andare incontro al futuro. “La storia ci reclama, non possiamo stare a guardare senza fare nulla” erano queste le ultime parole che ricordava di suo figlio, al suo estremo tentativo di farlo desistere.

Ormai era arrivato lì nella Grande Città, dopo ore e ore di viaggio in treno. Si era ritrovato catapultato così, in un paio di giorni, in un altro mondo, di cui aveva solo sentito parlare, magari da un paesano che c’era capitato, magari dalla radio. In fondo aveva lasciato il suo paese solo una volta nella sua vita, anche se fu per anni. Anche questo gli aveva rinfacciato suo figlio una volta. “Sei andato a combattere, ma per cosa? Per tornare qui e fare finta di niente?”. Vaglielo a spiegare al ragazzo che ancora oggi non lo sapeva per cosa fosse andato a combattere. A pensarci bene, c’era andato solo perché gli avevano detto di farlo. Immerso in quei pensieri, l’uomo sentì un’eco lontana, quasi un rimbombo. Si scosse, ne ebbe quasi paura. Poi il treno sfrecciò davanti a lui. All’inizio gli parve non fermarsi, poi pian piano lo vide rallentare e arrestarsi. Solo allora si accorse della gente che aveva intorno, fremente, in attesa che si aprissero le porte. Non aveva avuto troppe difficoltà ad arrivare fino a lì dal paese ma, come gli avevano detto alla taverna, il problema nella grande città non è arrivarci, è capire come spostarsi.  Così, appena sceso dal treno, aveva fermato il primo che gli era sembrato che ne capisse qualcosa. “Scendi le scale, verso le gallerie, aspetta il treno delle 9, ma attento, dall’altro lato. Poi, dopo due fermate scendi e prendi la linea rossa, però direzione sud, altre tre fermate e quella blu, direzione est. Poi sei fortunato, arrivi al capolinea e sei a destinazione”. Era stato fortunato sì a incontrare quel tizio, pareva veramente che ci vivesse sui treni. A lui che non ci viveva invece, sembrava di avere già dimenticato tutto. A ripensare alle parole del tizio, l’uomo si vide chiudere in faccia le porte del treno, che ripartì senza esitare. Si sedette di nuovo.

Aspetterò il prossimo, pensò. Provò un certo sollievo a sedersi, non se lo spiegava, non era certo felice che suo figlio fosse nei guai, ma non poteva nascondere a se stesso una voglia intima di rimandare. Come se quel tuo figlio lo avesse costretto a rivestire quel ruolo di cui era stato, suo malgrado, privato e che ora gli ricadeva improvviso sulle spalle, quando era riuscito a farne a meno. Voltò lo sguardo verso le gallerie dei treni, era la prima volta che vedeva questi tunnel sotterranei di cui ormai sentiva parlare sempre più spesso. Un po’ lo spaventavano, echi lontani, trambusti, buio, una certa mancanza di aria. Cosa ci era andato a fare a combattere? Ora che vedeva quei tunnel bui, attraverso i quali passavano i treni, in qualche modo pensava a come fossero stati costruiti. Immaginava rumori di uomini e ferro e si ricordò di quando al fronte si era ritrovato a scavare e scavare chilometri di fango. E quando non scavava, giornate intere in attesa di qualcosa che sembrava non arrivare mai, armi in pugno e la paura di non saperle usare al momento giusto. Pensò a quella mattina in cui il capitano gli chiese se sapeva aggiustare le cose. Lui aveva risposto che qualche volta ci riusciva. Allora provò a rimettere a posto il grammofono portatile che si era quasi distrutto nell’ultimo attacco. Non ci riuscì, niente più musica per molto tempo. Quell’esperienza lo aveva portato a decidere di imparare ad aggiustare le cose, e così fece tornato al paese. Un altro treno arrivò, di nuovo si accorse delle persone in frenetica attesa e decise di provare a salire. Aspettò il suo turno, salì e sperò di aver preso la giusta direzione. Appena seduto, si ritrovò tra le mani una pagina di giornale. C’era uno strano disegno a lui familiare. La nuova mappa della metropolitana è stata realizzata per cinque ghinee. Proprio quelle che gli servivano quel giorno. Riguardò la mappa, sembrava un circuito elettrico. Mah, io l’avrei fatta per meno, pensò. Intanto il treno andava.