Duecartellespazinclusi (Il taccuino di A.Z.) – Polvere


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di A.Z.

«Se laverò le mie mani oggi, domani saranno di nuovo sporche, per cui…» così rispose il vecchio all’uomo che lo era andato a trovare. L’altro, vecchio quanto lui, si chiese che ci andava a fare ancora lì una volta al mese a cercare di fargli cambiare idea. Come al solito fece un lungo sospiro. Portandosi il fazzoletto alla bocca e al naso, tanto era il maleodore, sconfortato e quasi rassegnato, alzò le spalle e disse al vecchio: «ci vediamo il mese prossimo». Non che avesse mai avuto molti amici il vecchio, neanche quando le cose andavano bene e, in fondo, neanche l’uomo che ormai aveva lasciato il suo appartamento poteva essere considerato un amico. Eppure in qualche modo provava a prendersi cura di lui. Il vecchio si mise comodo sulla poltrona, la tenda socchiusa offriva un passaggio al lieve raggio di sole. Non tanto lieve da non poter notare il pulviscolo atmosferico in quantità eccessiva per una casa abitata. Il vecchio guardò le sue mani, ormai ne aveva dimenticato il colore naturale. Forse anche la forma era cambiata, tanto erano sporche. Effettivamente non ricordava l’ultima volta che le aveva lavate, e così i suoi vestiti, il suo corpo, i suoi capelli, la sua barba lunga e gialla forse di vecchiaia, forse di sporcizia. E neanche ricordava quando aveva lavato per l’ultima volta la sua faccia. La sua faccia… Lo spessore di polvere nello specchio per anni gli aveva impedito anche solo di guardarla. Stranamente pensava a queste cose il vecchio, di solito non pensava a nulla. Ma quel giorno era diverso, in qualche modo gli era tornato in mente di avere avuto un’altra vita. Così, istintivamente, si mise una mano in tasca e prese una chiave. La fissò, ormai invecchiata dal tempo, poggiata sulla sua mano tremante. Ebbe quasi un sussulto. Si decise. Mosse alcuni passi verso la porta del salone che non apriva da immemore tempo. Nella penombra inciampò sul cadavere del suo ultimo gatto, riuscì a non cadere. Infilò la chiave nel buco della serratura, ci provò almeno, ma non ci riuscì. Fissò di nuovo la chiave, dall’altra tasca prese un fazzoletto, ridotto quasi a una palla scricchiolante. Cominciò a strofinare la chiave, come se cercasse di restituirle il vecchio aspetto. Infilò la chiave di nuovo, con più determinazione. Stavolta ci riuscì, ma non riuscì a girare la serratura, era troppo tempo che non apriva quella porta. Ci pensò su per un po’, alla fine si decise. Diede una spallata alla porta con più forza che poteva. Non ci volle molto, la porta si scardinò e rovinò sul pavimento, innalzando un polverone. Inciampando qua e là il vecchio si avvicinò alla finestra, scostò un po’ la tenda, provò a spolverare con una mano una parte del vetro e cercò di vedere meglio. Tutto era come si ricordava. I piatti sul tavolo che era ancora apparecchiato. I vassoi tutti al posto giusto con quello che era rimasto delle portate. Ragnatele ovunque, tutto in quella stanza aveva il colore della polvere e dell’abbandono. In fondo alla stanza, a malapena intravedeva il vassoio con i resti della torta nuziale. Sulla poltrona, adagiato quello che era stato un bianco abito da sposa. Il vecchio si avvicinò allo scrittoio, aprì non senza fatica il cassetto e tirò fuori una lettera. Soffiò, soffiò e soffiò. Provò a leggerla, non riusciva più a distinguere tra l’inchiostro, la carta ingiallita e la polvere. Non fu un problema, si rese conto che la ricordava a memoria. La strinse nella sua mano e cadde a terra. L’ultima cosa che vide furono gli occhi marci di un altro cadavere di gatto e una lacrima creò un solco sulla sua pelle intaccata dalla sozzura. Una piccola parte del suo corpo sembrava avere di nuovo l’aspetto di un altro tempo.

Cosa significa vivere e cosa significa morire! Tu muori, proprio oggi che la nostra vita avrebbe dovuto avere un nuovo inizio, e io vivo. Ma, in realtà, tu vivrai nel mio ricordo e, in questa casa, sono io quello che oggi muore. Il buon Dio non mi dà il coraggio di seguirti, ma posso provare a fermare il tempo a oggi. Ci saranno infiniti oggi fino a che il tempo non mi consumerà. Io, immobile, non darò più opportunità alla vita. Sicché, quando quel momento arriverà, sarò morto il tuo stesso giorno.  Tuo fino a oggi, N.B.